Cos’è un sogno?
Quanto dura?
Come facciamo a definirlo?
A distinguerlo dalla realtà? Da un progetto? Da uno scopo?
Mi ispira guardare i bambini di oggi e cercare di ricordare il bimbo che ero io.
Ogni giorno in un campo di gioco, che sia un rettangolo, un quadrato, una strada, acqua, parquet, neve, molti bambini praticano uno sport, in teoria liberi di divertirsi, di fare quello che gli piace.
Lì nascono le prime amicizie forti, io la definisco scuola di vita sana.
Credo che sia in questo che possiamo trovare l’origine dei nostri sogni sportivi e non, probabilmente qualcosa che un bambino non sa nemmeno che sta vivendo.
Voglio cominciare parlando di quei bambini che sono costretti a vivere i sogni dei loro genitori, quelli che finiscono col fare ciò che i genitori avrebbero voluto ottenere da giovani.
In certi caso si devono sobbarcare chilometri, orari incredibili, sacrifici pazzeschi per provare ad ottenere qualcosa che forse non gli piace nemmeno.
La voglia nel loro cuore di non deludere i propri genitori li spinge ad accettare di vivere un presente dove non sono i veri protagonisti ma solo un mezzo per gli altri.
Questo non è più sogno ma incubo, quello che alcuni grandi atleti del passato hanno dovuto sopportare per realizzare i desideri di grandezza di un genitore.
Se desideravate tanto diventare campioni dello sci non mettete a forza gli scarponi a vostro figlio o figlia.
Portatelo magari a vedere le gare, mostrategli quanto la neve possa essere divertente e saranno loro a tirarvi la giacca per entrare nel negozio di articoli da montagna.
Crescere in un piccolo paese di montagna, dove la neve regna per molti mesi all’anno mi ha avvicinato presto allo sci alpino.
Tutto è probabilmente iniziato nello ski-lift più corto e più nascosto del paese intero, un angolo di paradiso dove regnavano pace e tranquillità, il tempio per un bambino.
Ci andavo a sciare con qualche amico e mio fratello, su e giù per la pista in continuazione.
A volte ci portavamo qualche palo in legno colorato per provare a disegnare delle curve ed imitare i grandi campioni, a volte invece armati di badile cercavamo di creare dei salti nel boschetto per volare nella neve più soffice e morbida.
Si usciva da casa alle 14 e fino a quando non chiudeva l’impianto non ci staccavamo dalla pista.
Anche se le temperature erano rigide non mi ricordo di aver mai sentito freddo, ci si divertiva un mondo.
Lo sci mi piaceva in maniera viscerale, mi prendeva lo stomaco.
Devo ammettere che a quel tempo avevo provato anche lo snowboard, così giusto per vedere che effetto mi faceva, ma non mi affascinava altrettanto.
Visto che me la cavavo piuttosto bene e mio fratello maggiore si allenava già con lo sci club Livigno ho cominciato a fare le garette locali.
Fin dalla prima sono andato forte.
Se devo provare a razionalizzare, probabilmente è stato in quel momento che lo sci ha iniziato ad essere più di un gioco, ad essere il mio grande sogno.
Avevo iniziato a guardare in TV tutte le gare e ammiravo i grandi campioni.
Mi ricordo che i miei amici mi chiamavano Nanetor esattamente come Hermann Maier aveva il soprannome di Herminator.
Lui era il mio idolo da bambino.
Quando ho realmente capito quanto questo contasse per me?
A 13 anni!
Prima gara della stagione, seconda porta, scivolo, come un gatto mi rimetto subito in linea, ma sento un dolore incredibile scorrere dentro di me, come una scossa elettrica.
Ginocchio distrutto!
Diagnosi: tendine rotuleo lesionato, cartilagine andata, legamento stirato e menisco scheggiato.
Tutto insieme.
Roba da non crederci
Chiuso in ospedale per mesi.
In quei giorni trascorsi in ospedale, anche se ero solo un bambino, avevo un solo obbiettivo: quello tornare sugli sci il prima possibile anche se i dottori dicevano che non era una prospettiva realistica.
-Solo un miracolo potrebbe permettergli di tornare a sciare- questo dicevano ai miei genitori.
Ma io da quel momento ho guardato sempre solo avanti, ero determinato a tornare prima a camminare e poi a sciare; sapevo che sarebbe stata lunga ma volevo dimostrare che i dottori si sbagliavano e io avevo un approccio quasi da professionista, altro che tredicenne!
Io volevo divertirmi sugli sci e arrivare il più lontano possibile. Fine.
In quel momento la mia famiglia mi ha supportato in maniera incredibile, innanzitutto a livello morale e poi aiutandomi a raggiungere 4 volte a settimana Bormio per potermi curare adeguatamente.
Andavo da Alessandro, che ancora oggi è il mio preparatore, per la riabilitazione.
Lui martellava duro ogni giorno, mi sfiniva sempre, ma più mi faceva lavorare e più io ero felice di farlo.
Il mio allenatore dell’epoca, Daniele, non si è mai dimenticato di me, mi chiamava spessissimo, mi era vicino ogni giorno.
Tutto questo mi rendeva felice, perché un bambino, anche un bambino talentuoso, deve ricevere cure e amore per eccellere e non pressioni.
Se il bambino non si diverte e non ama ciò che fa non potrà mai godere appieno di quello che raggiunge.
Appoggiateli i sogni dei più piccoli, ma non spingeteli, saranno i loro maestri ed insegnanti a dar loro la direzione corretta per crescere.
Copriteli solo di affetto!
Ricordo ancora come se fosse ieri quel 18 ottobre, ero agitato, preoccupato ma ero anche il bambino più felice del Mondo intero: sveglia presto, mio fratello mi carica in macchina, direzione le piste dello Stelvio: tornavo a sciare.
Da allora molte cose sono successe: un’altro piccolo intervento di pulizia del ginocchio e le delusioni per le mancate chiamate in Nazionale, i sacrifici da compiere erano appena iniziati.
Un giorno mi sono dovuto porre la domanda che tutti ci facciamo prima o poi: cosa vuoi fare da grande?
Continuare ad inseguire il tuo sogno accettando i cambiamenti o lasciarlo sfumare lentamente come accade a molti altri?
Alzo il telefono e chiamo una vecchia volpe dello sci italiano, Luciano Curtoni:
-Luciano ho bisogno di una mano, posso venire con te in Francia questa estate?-
-Certo Roby, al mattino si scia, al pomeriggio allenamento e poi ci dai una mano nello chalet, lavorando!-
-La valigia è pronta, ci sono-
I sacrifici alimentano i desideri, non le chiacchiere.
Dopo poco infatti le cose presero la direzione giusta e, ad inizio inverno, riuscii ad entrare nel Centro Sportivo dell’Esercito, serenità e tranquillità mi iniziarono ad accompagnare nella quotidianità ed i risultati arrivarono subito.
Grazie ai fratelli Promotton e a Corrado, incontrato per caso e da allora inseparabile scudiero.
Con loro il mio sogno ha iniziato a prendere forma anche se ancora non sapevo di preciso quanto in là mi avrebbe spinto.
Coppa Europa, lotta nelle buche con pettorali altissimi, quando scendevo io i primi erano già a pranzare.
Ma non sarebbe durata a lungo, ho scalato tutte le classifiche e prima della fine della stagione ho fatto l’esordio in Coppa del Mondo.
I giorni prima della gara non stavo più nella pelle.
Arrivato a Kranjska Gora, in albergo mi sono ritrovato vicino ai grandi campioni, li osservavo tutti come se fossero la Monnalisa, ovviamente nessuno mi guardava o mi salutava.
Qualcuno probabilmente avrà anche pensato che fossi una delle tante meteore di passaggio che fanno una o due tappe e poi non riescono ad emergere del tutto.
Lì per lì neppure io ci avevo capito tanto di quello che mi stava succedendo -forse è solo un momento quello che sto vivendo- mi dicevo.
Ho rappresentato l’Italia: un’onore, ma solo con quello non si costruisce granchè.
Ottobre.
Forse il mio vero esordio è stato a Ottobre.
Sölden, Austria, la patria dello sci, prima gara della nuova stagione, si correva in ghiacciaio, quota 3000 metri, come dice qualcuno: -dove solo le aquile osano volare- .
In paese c’erano migliaia di persone, una grande festa, fans club che arrivavano dagli Stati Uniti, dalla Francia, dalla Germania, e persino da casa.
Un gruppetto di miei amici erano venuti infatti a vedermi, non potete immaginare le loro facce sconvolte il giorno della gara, dopo che avevano passato la notte a cantare canzoni austriache e bere birra a go-go in chissà quale pub.
Ero tra gli ultimi a partire, stavo bene, ero carico.
Negli ultimi anni in pochissimi partiti dopo il numero 30 si erano qualificati per seconda manche.
Io avevo il 63.
Avete letto bene.
Sessantatrè.
Non importa, si va in pista e si balla.
Ciliegina sulla torta: bufera di neve imprevista.
Vado al cancelletto, si vedeva ben poco, ma l’importante era scorgere il colore rosso e quello blu delle porte.
Bib -10 secondi.
Bib -5.
Bib -4.
Bib -3.
Bib -2.
Bib -1.
Via si parte, scendevo e non pensavo a nulla.
Al traguardo ormai non c’era più nessuno o quasi ad aspettare gli atleti, nei tempi intermedi ero addirittura là davanti vicino ai migliori, commetto un piccolo grande errore prima della fase finale che è pianeggiante, ma passo il traguardo a razzo.
Lo speaker ha lanciato un urlo che deve aver risvegliato quelli rimasti addormentati sulle tribune: -incredibile! con questo tempo e con questa pista Nani si qualifica-.
I miei amici muniti di tromboni fanno un casino bestiale, saltano come dei matti.
Io un po’ incredulo e un po’ felice, raggiungo lo staff e inizio a pensare alla seconda manche.
Ora sono tra i grandi dello sci contemporaneo e ci voglio rimanere.
E chi se lo aspettava?
Esordio in gigante: diciottesimo in condizioni meteo pessime.
Forse soltanto il bimbo che faceva terapia a 13 anni sarebbe stato in grado di crederci.
Raggiungo i miei amici: baci, abbracci, sorrisi, autografi.
Autografi?
Come autografi?
-Chi vorrà mai la mia firma?- mi domandavo
Aspetta un secondo, guardo meglio, sono delle piccole manine ad allungarmi carta e penna.
Sono bambini e bambine che, come successe a me, hanno un sogno grande così.
Vogliono fare esattamente ciò che ora faccio io, forse a loro non importa nemmeno il mio nome, ma avere su un foglietto lo scarabbocchio di qualcuno che ce l’ha fatta ad arrivare dove vogliono arrivare loro.
Non è una firma o un cimelio, per i bambini l’autografo è un simbolo.
Vogliono sciare, gareggiare contro gli atleti più forti al mondo e lottare per una vittoria, una medaglia mondiale o un’Olimpiade.
Il sogno nasce da solo ma lo si coltiva, con la propria forza e con quella degli altri.
Degli amici e della famiglia, degli allenatori e i maestri.
Non conta quali risultati si raggiungono, ma la consapevolezza d’aver dato tutto per provare a prenderli.
Lasciate che ogni bambino abbia il proprio di sogno, per quanto utopico, strano o fuori di testa vi possa sembrare.
Loro hanno una forza enorme dentro e se gli darete una mano finiranno per stupire tutto il Mondo.
Anche voi!