Ma che sono sempre stato molto simpatico lo posso dire?
Perché in fondo mi sono sempre sentito così, perfettamente stabile dentro le mie scarpe, anche se loro, poco alla volta, hanno iniziato a correre ogni volta più forte, e a rendere più complessa l’operazione di mantenersi in equilibrio.
Mai stato un casinista, ma in tutte le fasi della vita ho mantenuto intatta quella voglia di parlare, di raccontarmi e di conoscere persone nuove che ancora adesso sento definirmi più di ogni altra cosa.
Samuele è quello lì, il curioso.
L’allegro.
Il disponibile.
Non è banale esserlo e non è neppure banale dirlo con la giusta leggerezza, che è un attimo essere fraintesi, e il fatto di essere rimasto fedele a me stesso fino ad oggi, dà un sapore diverso a quando sta succedendo ora, che sono diventato grande e che gli orizzonti sono più aperti che mai.
Sono cresciuto in una cittadina da 60 mila abitanti, decisamente a misura d’uomo, nella casa dei miei genitori, che era su, in collina, ben distante dal centro e ben distante dagli altri bambini.
Quando aprivo la finestra, o magari la porta di casa per andare a giocare fuori , intorno a me non c’era nulla.
Non c’era una piazza oppure il parco giochi.
Non un campo sportivo né una gelateria.
C’eravamo soltanto il panorama, la natura ed io.
Forse è per questo che ho sempre amato stare in compagnia, che ho sempre intimamente desiderato stare in mezzo alla gente, comprendere come ragionano gli altri.
Esplorare.
Non accontentarmi mai di quello che avevo, e cercare di più.
È un lato del mio carattere che non cede allo scorrere del tempo, e che con il passare degli anni diventa più sottile, più complesso, proprio come la vita degli adulti, ma che nella sua natura più profonda non è mai cambiato.
Come non cambio io.
Ho iniziato a cimentarmi con l’atletica leggera perché a scuola organizzavano i campionati studenteschi, ed io, a quanto pare, con la velocità me la cavavo già piuttosto bene.
“Sei portato! Dai, prova!” mi disse il maestro di ginnastica, davvero convinto che in pista avrei potuto combinare qualcosa di buono.
Peccato che dopo un solo mese di allenamento, ho abbandonato in fretta e furia la squadra perché non mi trovavo bene nell’ambiente di quella prima società.
Allora niente, chisse-ne-frega (sempre in senso buono, ovviamente) che tanto a me bastava farmi degli amici nuovi, giocare e tenermi impegnato, per essere felice.
Quindi sotto con un’idea nuova, che ha preso la forma del karate, lo sport a cui ho dedicato tanti anni della mia vita.
E devo dire, che andava davvero benissimo così, che sarei anche potuto restare un karateka per tutta la vita, dal tanto mi divertivo, se non fosse che un giorno, quando di anni ne avevo già una quindicina abbondante, in maniera del tutto casuale, mi sono ritrovato di nuovo su una campo d’atletica.
Ed è scoccata la scintilla.
È stato come ritrovare la strada casa.
Come avere un colpo di fulmine improvviso per qualcuno che conosci da sempre, e di cui non avevi mai notato prima la bellezza assoluta.
Come se il destino, prima di porgerti la mano, ti chiedesse la stessa cosa due volte, perché vuole essere certo che tu, poi, gliela stringerai per davvero.
Sono tornato in pista, sono tornato sul tartan.
E non mi sono più voltato.
I primi 100 metri “veri”, li ha fatti in 11 secondi e 56, che era già un discreto risultato e che sono diventati il punto di partenza per andare a prendermi un pezzo di futuro.
Sono diventati i miei blocchi.
Il velocista è un lavoro lungo ed estremamente complicato, perché tutto quello che fai, alla fine, sul cronometro, si traduce nella limatura di qualche misero centesimo.
Quando le cose vanno bene.
Costruisci giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, un tuo percorso personale, pensato nel minimo dettaglio, studiato apposta per valorizzare le tue caratteristiche fisiche e tecniche, ma il cui successo finale è legato un’infinità di varianti, molte delle quali possibili da prevedere.
C’è tanta matematica, ma non è un’equazione.
Tanta filosofia, ma serve comunque la cattiveria.
Tanta casualità, ma se sbagli è lo stesso colpa tua.
È una scommessa con te stesso, che fai allo specchio.
Ed è proprio l’individualità è ciò che lo rende così faticosa.
Individualità che, però, allo stesso tempo, è anche la chiave del successo.
Quando mi tocca fare le ripetute sui 300, che per me sono lunghe e che non le macino tutti i giorni, comincio ad agitarmi, perché il mio cervello inizia febbrilmente a calcolare lo sforzo, a modularlo nella testa per mantenere l’intensità richiesta al copro, e lavorare al meglio, anche in una distanza che manda i miei muscoli in difficoltà.
Che li porta al limite.
Non c’è nessuno che possa fare quelle ripetute per me.
Non un compagno da cui possa rubare energia positiva.
Non un approccio tattico, una scorciatoia o una grande giocata che possa allontanarmi dalla fatica.
Lei è lì, che mi aspetta, come un muro, e il solo modo che avrei per evitarla è mollare, e mollare, ovviamente, non è mai davvero un’opzione.
Eppure questo confronto con il limite e con il dolore è precisamente ciò che rende piacevole il successo, o il traguardo raggiunto.
Non solo è interamente tuo, ma anche perché è una conquista fragilissima, di cui impari a godere ogni piccolo istante.
Ti porti appresso l’enorme responsabilità del tuo stesso lavoro, e quando poi il cronometro scende, anche soltanto di una frazione di secondo, il tuo serbatoio si riempie fino in cima, e tu sei di nuovo pronto a ripartire da capo.
Quasi ignorando la mortalità di quel momento.
È questo, forse, il segreto di una vita felice, nello sport.
La capacità di restare fedele a se stessi, accettando con pazienza i cambiamenti per cui lavori ogni santo giorno, siano essi passi avanti oppure passi indietro, senza che gli alti e i bassi definiscano chi sei, ma soltanto quanto veloce hai corso, e cosa ti toccherà fare in allenamento, a partire da qui.
La vetta è distante, e sempre resterà distante, perché questa è la natura dello sport.
Un gioco complesso e pieno di sfide, costruito apposta per farti scoprire chi sei, dove non vince chi vince ma chi trova sempre un motivo per tornare al campo felice.