Quando nasci in un posto piccolo come Saint Lucia, la strada da fare è maggiore che altrove.
Serve più fatica.
Serve più immaginazione.
Servono più aerei. Più viaggi. Più telefonate.
E servono anche più sacrifici. Più dubbi. Più notti insonni.
Servono tante cose in più, per avere l’occasione di competere con le altre.
Per giocarsela alla pari con loro.
Perché il posto da cui provieni tu è più piccolo. Più distante. Più solitario.
E soprattutto, in quel posto lì, non c’è nessuno in grado di mostrarti la via, di farti vedere come si fa qualcosa. Specie qualcosa di grande.
Specie qualcosa che non è mai riuscito a nessuno prima di te.
© Courtesy of Puma
La prima.
Sono stata la prima a fare tantissime cose, nel corso della mia vita.
La prima medaglia mondiale del mio Paese.
Poi la prima medaglia Olimpica.
La prima donna di sempre a correre sotto i 7 secondi, sui 60 metri.
La prima ad andarsene adolescente e poi a tornare donna, con un giorno di festa nazionale che adesso porta il suo nome.
Eppure, nonostante questo, quando mi guardo indietro e ripenso al percorso fatto fin qui, non è stata l’ambizione a guidarmi, perché la sola certezza che ho è quella di non aver mai guardato la destinazione del viaggio.
Mai.
Neppure una volta.
Ma di aver sempre e soltanto cercato una ragione per andare avanti, giorno dopo giorno. Un motivo, stagione dopo stagione, di mettere un passo dietro l’altro, un allenamento dopo l’altro, anche quando le cose non funzionavano come avrei voluto.
Anche quando pensavo che l’insuccesso fosse definitivo.
Una sensazione che ho provato spesso, fin da quando ero solamente una bambina.
© Courtesy of Puma
Quando mio padre è venuto a mancare, non ho potuto salutarlo.
E quell’istante di vuoto e di silenzio è immortalato per sempre dentro di me: un ricordo a metà, impossibile da rimuovere e impossibile da completare.
Sospeso nel tempo.
Come una domanda senza risposta.
Ero abituata a non vederlo spesso.
Non viveva con noi.
Perché l’esistenza, a volte, era una sofferenza per lui.
E la vita di tutti i giorni un puzzle troppo complesso da mettere in fila.
Però c’erano dei giorni in cui veniva a casa, passava del tempo con me e mi accompagnava agli allenamenti. Quelli erano giorni belli.
Non essere riuscita a dirgli addio mi ha insegnato a mostrare apprezzamento per le persone care, tutte le volte che posso. E, allo stesso tempo, mi ha spinto a non dipendere troppo dagli altri, ma a contare solo sulle mie forze.
A stare soprattutto da sola.
© Courtesy of Puma
Ora so che il Mondo non è un posto cattivo, e so di essere circondata da persone speciali, come la mia famiglia, il mio agente, e il mio allenatore.
Ma la prime volte in cui sono uscita dal mio spazio, dalla mia terra, mi sono ritrovata spesso da sola. Quasi coccolata dalla mia solitudine.
A 14 anni, dopo aver vinto il titolo Under15 del Centro America e dei Caraibi, mi hanno offerto una borsa di studio per andare in Giamaica.
La terra degli spirnter: era l’occasione di una vita.
E allora sono partita.
Ricordo il saluto di mia madre, prima della partenza.
Mi aveva lasciato una nota.
“Keep work hard. See you soon.”
Soon.
Mica tanto.
È trascorso un anno intero prima che potessi rivederla.
Ho dovuto imparare una nuova cultura da zero.
Adattarmi a ritmi e modi non miei.
Ho sofferto molto, al chiuso nella mia cameretta.
Facevo poco, oltre all’allenamento. Non uscivo, non interagivo, non mi occupavo in alcun modo della mia mental health.
Mamma mi diceva sempre di tenere duro, che “c’era una luce nel tunnel”.
Di avere pazienza.
È stato un momento difficilissimo eppure fondamentale, perché senza non avrei mai compreso il mio valore fisico e mentale. Non avrei mai potuto forgiare il mio carattere e prepararmi a quello che mi aspettava dopo.
Non so se lo rifarei.
Di certo non così, non senza la mia famiglia.
Non senza protezioni.
Eppure tutto ha contribuito alla costruzione del momento presente, anche le difficoltà, perché gli anni prima dei Giochi di Parigi 2024 sono stati tutt’altro che semplici, per me. E aver vissuto delle esperienze del genere in passato mi ha preparato a gestire il dolore. Il dubbio. Le complicazioni.
Tra il 2019 e il 2021, gli infortuni e il COVID hanno rallentato la mia crescita.
L’anno seguente è stato decente a livello di risultato, ma faticavo enormemente a credere in me stessa per davvero. Quello dopo ancora le cose hanno iniziato a girare meglio, ma non sono riuscita a gestire l’avvicinamento ai Mondiali di Budapest.
Per questo le Olimpiadi di Parigi sono state davvero il momento perfetto.
La somma di tutti gli errori e di tutte le cadute.
Di tutte le solitudini e le mancanze.
Di tutte le scelte coraggiose e di tutte le persone che sono rimaste al mio fianco, sempre e comunque. Dal giorno del mio primo allenamento fino alla celebrazione per il Julien Alfred Day.
10 secondi e 72 centesimi lunghi più di vent’anni.
Densi come la solitudine e leggeri come un amore.
L’atterraggio in cima alla Luna, proprio sulle spalle del Mondo.
In attesa di tornare a casa.
Nell’isola piccola e bellissima, next flight home.