Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire che nel Mondo non ci sono soltanto climber, ma anche calciatori, pallavolisti, giocatori di basket.
Per me era normale passare il tempo sulla parete e pensavo che fosse così anche per tutti gli altri, come se fosse la natura stessa dell’uomo a volerlo.
La mia famiglia aveva tre passatempi: l’arrampicata, lo sci e la bicicletta. Che erano anche gli stessi passatempi di tutti i nostri amici, di tutti i miei amici, e così io sono cresciuto pensando che non esiste altro all’infuori di quelli.
Nient’altro di interessante, quanto meno.
Era difficile persino capire se mi piacesse, arrampicare, o se fosse soltanto quello che facevo, quello che facevamo tutti, ogni volta che ne avevamo l’occasione.
© Adam Ondra Family Archieves
Ho scoperto anche di amarlo, di amarlo con tutte le mie forze, quando finalmente ho potuto cominciare a gareggiare, a sfidare gli altri.
Avevo quasi sette anni.
Ho fatto la mia prima gara e sono arrivato terzo.
Il mio coach mi ha detto: “tieni la coppa sopra il letto, e sarai motivato a vincerne altre!” E così ho fatto.
Anno dopo anno, io volevo vincere altre coppe, diventare sempre più capace.
Migliorare.
© Adam Ondra Author Petr Chodura
La maggior parte dei climbers ha grandi motivazioni romantiche, quando parla dei propri inizi. Storie emozionanti sul rapporto con la natura, sulla ricerca spirituale, sulla lotta agli elementi.
Io no.
Io ero spinto da altro, almeno all’inizio.
Io volevo diventare bravo, volevo diventare il miglior climber di sempre, il più forte, il più creativo.
Quand’ero bambino, era fin troppo facile vincere le competizioni contro i ragazzi della mia età e appena sono diventato grande abbastanza per scalare sulla roccia ho iniziato a confrontarmi con i grandi.
Ho sempre voluto scalare qualsiasi cosa, e ricordo che quando andavamo via per il weekend, e andavamo sempre in posti scelti apposta per poter scalare, avevo sempre appresso un elenco delle vie che avrei dovuto chiudere prima di tornare a casa.
E quando non riuscivo a farle tutte mi arrabbiavo, anche se alcune di quelle che avevo immaginato erano semplicemente impossibili, perché ero ancora troppo basso.
Sfidavo me stesso, a capire quel piccolo fallimento.
E poi tornavo l’anno dopo, da climber migliore, o anche solo da adolescente cresciuto di qualche centimetro, per chiudere la via che mi era sfuggita in passato e i conti con le mie mancanze.
© Adam Ondra Author Petr Chodura
Competere mi è sempre piaciuto, è stato il mio primo motore, ma ho capito piuttosto presto che se vinci senza arrivare in cima non è la stessa cosa.
Che la sfida è con la parete o con la natura, e solo dopo con gli altri.
Se l’arrampicata fosse solo andare più in alto degli avversari non l’avrei amata tanto, e neppure tanto a lungo. Non sarebbe tutta la mia vita.
Perché la verità è che io ne sono totalmente ossessionato, immerso con tutti i miei pensieri e con tutte le mie azioni. Posso guardare assorto una parete da 1000 metri oppure un problema di un metro soltanto, e sentire lo stesso fuoco, la stessa esigenza di mettermi alla prova, di farlo mio.
Di chiuderlo.
© Adam Ondra Author Pavel Blazek
Per me è ovvio, mi sento principalmente un rock climber, ma adoro anche le gare indoor e le pareti, che tirano fuori il meglio di me, il lato più ambizioso.
È un gioco di equilibri, dove il senso di avventura e la voglia di vincere si bilanciano l’uno con l’altra e dove io, come uomo, mi siedo nel mezzo, felice del fatto che l’arrampicata sia uno tra gli sport migliori che esistano, per vivere felici.
È una forma d’arte, legata al viaggio.
Che ti obbliga ad esplorare la natura che ti circonda.
Ad andare lontano per trovarne di nuova.
A fronteggiare i tuoi limiti, accettando il fallimento di chi sei in quel momento e progettando il te di domani, che farà dimenticare quello stesso limite.
© Adam Ondra Author Petr Chodura
È il flusso della mia vita.
Il flusso della mia coscienza, che è sempre esistito, fin da quando ne ho memoria, come forse accade per chiunque, ma che nel mio caso attraversa mani e piedi, prendendo energia dalla roccia stessa.
È da quando ho imparato a muoverli che scalo.
Da allora che l’arrampicata è la misura della mia esistenza.
Il mio ultimo ed il mio prossimo pensiero.
E mi ha regalato tanti momenti perfetti, che racchiudono tutta l’essenza di quello che faccio e di quello che sono. Anche se nessuno di questi ha raggiunto l’intensità della conquista di Silence, la via più difficile al Mondo: il riassunto della mia visione.
Un posto magico, nella natura cruda di un fiordo norvegese.
Un posto che vuol dire tanto per me.
Una roccia che sembra impossibile da scalare, ma che quando la guardo io, non vedo altro che la via che la attraversa, come se avessi un terzo occhio che vede dentro le cose.
E poi la sfida, la sfida di un’ascesa complessa, piena di difficoltà e di tecniche da padroneggiare.
Non saprei dire se è stato più bello pensarla o domarla.
Sbagliare o riuscire.
Il viaggio o il traguardo.
Ma questo, se volete, è proprio il bello di questo sport.
© Adam Ondra Author Petr Chodura
Uno sport che continuerà ad essere mio.
Sempre e per sempre.
Così come continuerà ad essere lo sport di chiunque avrà il desiderio di provarlo, perché ad ognuno offre una strada diversa, il modo unico di esprimere se stessi, ed è impossibile non sentirsene parte anche emotivamente e culturalmente.
È una filosofia di vita.
Uno studio del Mondo.
Una planimetria dell’anima
Costruita sulla forza della paura e del pericolo, e sulla bellezza della conquista e del gioco. Sull’impossibilità della natura e sulla potenza dell’uomo.
Uomo che ne è origine fin dal principio.
Fin dall’inizio.
Fin da Adam.