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Brian e Meo Sacchetti

10 MIN

Ieri mattina.

Caffè e abituale rassegna stampa: quotidiani cartacei e contenuti online.

La Bibbia del vero italiano

Mi capita tra le mani l’articolo di Drake e Travis e mi viene subito voglia di scrivere per svelarvi un succoso retroscena.

Estate, credo giugno, comunque è ancora abbastanza presto per i canoni del basket-mercato, almeno per quello dei giocatori.

Meo avrebbe firmato a Cremona ed io, ovviamente lo sapevo.

Ma un conto è saperlo e averne discusso in casa e un altro è conoscere i tempi tecnici ufficiali: firme, comunicati e quant’altro.

Me ne sto sul divano e inizia a vibrare il telefono: è Drake, cosa abbastanza abituale in realtà.

Ciao Drake come stai?

Meo ha firmato a Cremona?

Ti voglio bene anch’io Drake!

Brian e Meo Sacchetti

Inizio a insospettirmi, ma faccio spallucce torno alle mie faccende quotidiane.

5 minuti, probabilmente meno, e risuona il telefono: stavolta è Travis.

Ciao Travis come stai?

Tu vai a giocare da Meo?

Sto bene grazie di averlo chiesto!

Puzza di bruciato.

Papà a volte è difficile da reperire, ogni tanto abbassa la serranda con il Mondo e se ne sta buono buono in famiglia, rispondendo solo a chi vuole lui.

Faccio il suo numero.

Papà, è uscita la notizia della tua firma oggi?

Non ne sono sicuro ma credo di sì

Ecco chiama Travis, o Drake, o tutti e due! Quelli stanno tramando qualcosa!

Se fossi un giornalista che si occupa di calciomercato la definirei trattativa-lampo.


Comunque li capisco i Dieners, giocare per Meo è un’esperienza stupenda, il suo basket è un fanstatico mix di velocità, libertà di esprimersi, grande empatia umana e tecnica.

E non lo dico certo perché è il mio papà.

Lui mi ha allenato da quando ero piccino, credo che la prima partita fosse in un under 13, fino al livello più alto possibile.

Ci sono due stagioni in particolare che quando ci ripenso mi faccio travolgere dei fantastici ricordi che ci hanno regalato.

Allerta spoiler: da qui in avanti l’articolo contiene un ragguardevole livello MINORS, astenersi nostalgici.

Ho fatto con papà due promozioni in due stagioni consecutive a Castelletto Ticino: 2003/2004 e 2004/2005.

Primo anno: squadra completamente fuori categoria, piena di bucanieri invincibili per quella che una volta si chiamava B d’eccellenza (quanta nostalgia!), nomi leggendari per chi bazzicava quei campionati: Portaluppi, Causin, Cazzaniga.

Io ero al primissimo spogliatoio senior, andavo ancora a scuola e facevo quello che si chiama doppio-tesseramento con le giovanili di Varese.

Abbiamo vinto quasi in scioltezza, senza faticare troppo e papà fece in sostanza il capitano di una nave piena di pirati delle minors che pilotavano da soli, o quasi!

Durante i festeggiamenti per la promozione la mazzata: il Pres, tra un brindisi e l’altro, ci fa sapere che non ci sono i mezzi per la LegaDue, titolo sportivo a Caserta e noi di nuovo in B.

Brian e Meo Sacchetti

Io e Meo decidiamo di restarci a Castelletto, ma costruire una squadra per vincere sapendo che se lo fai forse non servirà a niente cambia un po’ le prospettive.

Quindi papà decide di fare una squadra di giovani, spostando i panchinari dell’anno prima in quintetto.

Stefano Leva in regia, Paolone Mossi, suo figlio Brian, il veteranissimo Rusconi e via, andiamo a comandare.

Oddio comandare! In serata forse!

Mi ricordo di Paolo che riusciva a parlare al contrario con la stessa fluidità con cui io parlo normalmente e che così facendo mi prendeva sempre per il culo e ancora lo fa quando ci vediamo!

Il basket di papà è comunque sempre il più bello da vedere: ritmo alto, tante triple e finiamo sesti, con 17 vinte e 13 perse.

Noi eravamo già contenti così.

Una di quelle vittorie poi, non ricordo esattamente dove, l’avevamo raccolta con una mia bomba praticamente sullo scadere e mi erano venuti i brividi su tutta la schiena quando l’ho vista entrare.

Lo spogliatoio funzionava alla grande e abbiamo affrontato i playoff all’arma bianca.

Eravamo un’allegra banda di scappati di casa e ce lo rinfacciavamo l’un con l’altro con gioia, ben prima che quest’espressione diventasse di uso comune.

A quei tempi la serie B aveva due gironi che si incrociavano nei playoff per cui finivi col giocarti tutta la stagione contro squadre che non avevi mai affrontato.


Inciso: l’altro girone era sempre il più forte!

Non importa in quale tu giocassi: l’altro era incredibile! Pazzesco!

Secondo gli allenatori delle minors gli avversari sconosciuti sono sempre corazzate misteriose: scapoli contro i Monstars.

Nel nostro caso specifico era: noi contro Veroli.

Primo turno.

Veroli era sempre uno squadrone, celebre tra l’altro per la famosissima maledizione della Coppa Italia, che se la vincevi non salivi in Lega Due.

Quell’anno la Coppa Italia era nella bacheca di Rieti, per cui noi non avevamo scampo.

Leva in gara 1 sembrava un topo nel formaggio dentro il basket di papà, se fossimo brasiliani sarebbe stata una lezione di basket bailado, e la portiamo a casa, +11.

Coniglio dal cilindro.

+20 in casa gara 2.

E semifinale con Pistoia.

Pistoia era ovviamente uno degli squadroni invicibili del girone B: 2 a 0 per noi.

Finale: Castelletto contro Cento, al meglio delle 5 questa volta.

Cento aveva Bisconti, Binelli, Casadei, bucanieri assortiti.

Gara 1 fuori: perdiamo di 10.

Gara 2 ancora a Cento ed è una sparatoria in stile Meo Sacchetti, partita pazzesca, ritmi assurdi, soprattutto per una finale e percentuali alle stelle.

Overtime scenografico.

Pochi secondi alla fine e siamo avanti, con un morbido 96 a 93, palla loro.

Time out.

Brian e Meo Sacchetti

Meo:

Ragazzi entriamo con lo stesso quintetto, ma con Brian da 4.
Oh mi raccomando fate tutto quello che volete MA NON FATE FALLO SUL TIRO DA 3!

Pick and roll avversario gestito palla in mano dall’esperto Luca Sabatini, bombarolo di categoria se ce n’è uno, io cambio in difesa.

Deve essersi leccato i baffi vedendo un diciannovenne, 19, in difesa sul possesso decisivo di tutta la stagione.

Salto per contestare la sua bomba.

Grido di dolore: Sabatini è a terra!

Deve esser stato un cecchino che l’ha freddato dagli spalti, perché io ero almeno ad un metro da lui.

Almeno.

La madre di tutti i tuffi.

Sento un fischio e mi giro.

L’omino in grigio mi guarda, un pugno alzato e l’altra mano tesa ad indicarmi; poi le alza entrambe e fa segno 3 con le dita.

Mi sento come se avessero spento le luci in tutto il palazzetto e fosse rimasto solo un faro che illumina me..

Quel pirletta mi guardava disperato.

Aveva quasi le lacrime agli occhi.

Non l’ho toccato papà, te lo giuro non l’ho toccato!

Non sapevo se ridere o piangere. Il fischio era derubricabile come classica zozzeria da serie minori, ma lui non era stato proprio una volpe.

Non l’ho toccato papà, te lo giuro non l’ho toccato!

Ho capito, adesso piantala! Vai a rimbalzo o ci prendono pure quello!

Dentro il primo.

Dentro il secondo.

Fuori il terzo.

Vinciamo e facciamo 1 a 1 nella serie.


Mi giro per esultare e vedo i miei ragazzi che saltano a centro campo, ma un ragazzone sta correndo verso di me a grandi falcate con la faccia pronta a scoppiare:

Scusa, scusa, scusa! E comunque ti giuro che non l’ho toccato papà, te lo giuro!

Ma va a cagher!

Abbiamo vinto quella serie e guadagnato la Lega Due per il secondo anno di fila.

La prima volta che ho allenato Brian era in Under 13 e gli avevo cacciato un paio di urla di troppo, non volevo che si sentisse diverso perché in palestra c’era il papà e quindi mi è venuto spontaneo essere un po’ più duro con lui che con gli altri.

Mia moglie il giorno stesso mi disse: guarda che non lo porto più se lo tratti così!

Ma io e lui abbiamo sempre lavorato bene insieme, soprattutto agli inizi.

Quando diventi professionista e giochi/alleni in Serie A tutto diventa più schematico e preciso, ognuno conosce i propri compiti dentro e fuori dal campo.

Brian e Meo Sacchetti

Ma nelle giovanili e nelle minors i confini sono un po’ più difficili da individuare e a volte non è facile comprendersi a vicenda.

Brian è stato sempre bravissimo.

A Castelletto non mi ha mai riportato una voce dello spogliatoio, non ha mai lasciato trapelare niente che non dovesse uscire da lì.

Sapete ogni tanto il giocatore sente il bisogno di sfogarsi e di mandare a quel paese il coach con i suoi compagni o di lamentarsi di qualcosa, è fisiologico.

Brian è sempre stato un bravo figlio a casa e un grande professionista sul lavoro.

Contemporaneamente.

Anzi mi è capitato sia a Castelletto che a Sassari che i miei dirigenti mi chiedessero di dargli più spazio di quello che gli concedevo!

Solo una volta ha rischiato che gli staccassi la testa: mi fece un canestro decisivo giocandomi contro, quando stava a Ferrara.

Palla che entra, sguardi che si incrociano.

Per fortuna sua non disse una parola, non fece un gesto, niente.

Anche se sotto i baffi (a proposito fatteli crescere come il papà dai che ti stanno bene!) so che stava ridacchiando.

Come fece quella volta in macchina, stagione 2004/2005.

Vincemmo contro Imola (la squadra che lui, poche righe sopra, non ricordava) con una sua bomba dall’angolo, in una partita nella quale aveva giocato poco.

Non era mia abitudine fargli troppi complimenti anche quando se li meritava.

Sulla via di casa mi guarda e col sorriso beffardo fa:

Se mi lasciavi ancora in panca perdevi pure questa papà!

Lo guardo nello specchietto, provo a fare gli occhi cattivi ma non ci riesco e mi scappa da ridere!

Brian Sacchetti / Contributor

Brian Sacchetti

Meo Sacchetti / Contributor

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