Bruno Cerella e Tommaso Marino

Bruno Cerella e Tommaso Marino

8 MIN

Merda e lamiere.
Acqua e farina.

Javan fino ai dieci anni non aveva praticamente visto nient’altro nella sua vita; solo merda, lamiere, acqua e farina.

Di merda e lamiere sono fatte tutte le case nelle baraccopoli del Kenya, giganteschi ammassi di persone che vivono schiacciati uno addosso all’altro in condizioni di estrema povertà.
I bambini sono praticamente tutti denutriti e raramente le famiglie riescono a mettere del cibo in tavola più di una volta al giorno.
A volte nemmeno quella.

Ragazzi di cinque o sei anni che, durante il giorno, gestiscono greggi di centinaia di pecore sotto il sole africano che brucia e, quando va bene, si sostengono con un chapati, una specie di piadina.
Acqua e farina per l’appunto.

Bruno Cerella e Tommaso Marino

Javan comunque era davvero bravo, anche da piccolino.
A 10 anni mostrava un talento impressionante per il gioco, un grande ball handling e ovviamente un atletismo di livello superiore.
Come tutti i nostri ragazzi poi, si vestiva sempre di un sorriso magnifico, che sfoggiava allegro ad ogni allenamento.
E uguale prima.
E uguale dopo.

Quella delle baraccopoli è, come quella di tante zone africane, una realtà fortemente matriarcale.
Le madri mettono al mondo molti figli, anche da padri diversi che poi allontanano da casa.

Troppi problemi, troppa violenza e troppo alcool: un uomo in casa spesso e volentieri significa questo in un posto del genere.

Famiglia allora vuol dire quasi sempre:
una madre e 7/8 figli, cresciuti con meno di un dollaro al giorno, senza prospettive di cambiamento e senza neanche troppo rispetto per la sacralità della vita.

Badare alla propria sopravvivenza è già abbastanza complicato per poterlo fare anche con quella degli altri.

Javan affrontava tutto questo, come altri, ogni giorno.
Tolte le scarpe da gioco, ereditate da chissà quale fortunato bambino italiano, se ne tornava nel suo quartiere, armato solo della gioiosa incoscienza della gioventù e del suo outfit preferito: il sorriso stampato in faccia.


Passati i dieci, undici anni però i ragazzini iniziano a sentire il peso di vivere in una società nella quale il dopo-scuola offre sempre e solo impegni negativi.

Bighellonare.

Tuffarsi in un fiume contaminato.

Spacciare.

Il nostro principale sogno era quello di riuscire ad estirpare questo paradigma in alcune di queste baraccopoli, offrire ad alcuni di questi ragazzi gli strumenti per rompere una ruotine così pesante, usando il nostro mezzo preferito: il basket.

Uno dei nostri primissimi collaboratori è stato Thomas, che abbiamo formato tecnicamente nel corso degli anni, rendendolo capace di insegnare il gioco nella sua scuola e di diventare un punto di riferimento per tanti ragazzi su base continuativa.


Thomas è uno dei nostri 3 allenatori professionisti.

Un ragazzo che si guadagna da vivere lavorando per la nostra onlus.

Ogni giorno.

Ma Thomas non è un semplice lavoratore.

Non timbra il cartellino e poi va a bere il caffè.

Thomas è un simbolo di quello che facciamo, mette passione sul campo e fuori in ogni singolo momento. Trasmette a chi lo circonda la nostra visione: quella di un futuro migliore.

Lui non smette mai di insegnare.

Con i ragazzi che allena condivide le origini e le difficoltà quotidiane:

anche casa sua è fondamentalmente fatta di merda e lamiere!

Eppure non ha esitato un istante a prendere Javan sotto la sua ala protettiva, metterlo nella propria baracca e spronarlo ogni giorno per due anni a studiare e ad allenarsi.

Oggi Javan è uno dei 7 ragazzi che, lottando con altri 100 e passa, ha vinto una delle nostre borse di studio.
Vive nella Capitale, a Nairobi.
Grazie a noi, a Thomas e a tanti altri frequenta gratuitamente l’high school, consuma regolarmente tre pasti al giorno e non passa un pomeriggio senza pallone e senza libri tra le mani.

Nelle prime due estati trascorse in Africa eravamo notevolmente meno organizzati.
L’idea era venuta a Bruno e io l’ho adorata, fin dal primo istante.

Al ciao ero già suo.

bruno cerella tommaso marino

Abbiamo raccolto magliette, palloni, conetti in giro per l’Italia, usando il passaparola, contando sul cuore di chi ci conosceva e sulle nostre forze.
Nulla più.

Giravamo per il Kenya, noi e coach Michele Carrea, facendoci scortare da un’associazione locale, Karibo Africa, che ci portava di baraccopoli in baraccopoli, ovunque sapevamo esserci un campo a disposizione, ovunque ci fosse qualcuno che aveva voglia di giocare.

A Nairobi per fare una cosa, una cosa qualunque, serve un giorno intero.
Sempre!
Ancora oggi, come sei anni fa, se ti affidi al trasporto pubblico è saggio farsi il segno della croce prima di partire.
Organizzare attività del genere è davvero un terno al lotto.

Bruno Cerella e Tommaso Marino

Eppure non abbiamo mai pensato alle difficoltà ma solo ed unicamente visto le potenzialità di una terra così misteriosa e sfortunata.

Abbiamo creato una basketball Academy, dove abbiamo formato degli allenatori locali, capaci nel quotidiano di insegnare il gioco ai loro ragazzi.

Oggi sono 10 gli allenatori, di cui 3 professionisti.

100 i bambini che ogni giorno occupano i campi.

365 i giorni all’anno in cui i gruppi giovanili si trovano e giocano.

La base della nostra Academy è il campo a Mathare.

Il nostro primo campo.

L’abbiamo costruito al terzo anno di attività grazie al sostegno di tanti italiani.

Costruirlo è costato più di 30 mila euro, che abbiamo raccolto in meno di un anno, vendendo magliette e braccialetti.

Braccialetti slums dunk, a 2 euro l’uno.

2 euro l’uno.

Fino a 30 mila euro.

Bruno Cerella e Tommaso Marino
Bruno Cerella e Tommaso Marino

Quando si compra un accessorio di una onlus si compra sempre molto di più di qualcosa di materiale.

Oggi slums dunk è una onlus che punta ad espandersi e che progetta di aprire altri campi e filiali della Academy, in Kenya e in Zambia.

Ma prima di tutto questo slums dunk è una visione.

La nostra.

Quella di Thomas.

Quella di Javan.

Quella di Teddy:
capace di essere nominato MVP di un evento di Basketball Without Borders e oggi protagonista in un college americano.

Quella del nostro gruppo di campioncini under 12 che hanno vinto la Junior NBA (Nairobi Basketball Association, che pensavate?!) vincendo una finale trasmessa dalla televisione nazionale, con tanto di interviste e folla oceanica sugli spalti.

Quella di chiunque porta uno dei nostri braccialetti rossi o una nostra felpa,
di chi ci ha mandato le proprie vecchie scarpe da gioco.

Magari da domani questa visione sarà anche la tua.

Bruno Cerella e Tommaso Marino

Bruno Cerella / Contributor

Bruno Cerella

Tommaso Marino / Contributor

Tommaso Marino