Dicembre inoltrato e anno ormai agli sgoccioli.
Secondo derby vinto dell’anno.
Sono rimasto sotto la doccia un bel po’.
Non avevo alcuna voglia di uscire.
Ci sono rimasto per venti minuti filati, con l’acqua bollente che mi bruciava la pelle.
Ed in più fuori faceva un freddo cane.
Era il secondo derby vinto in pochi giorni e l’acqua si stava portando via tutte le pressioni, le aspettative.
Mi restava addosso solo la felicità.
Solo la celebrazione ed il sollievo, almeno fino alla prossima battaglia.
Nella vita dei professionisti il risultato è tanto, tantissimo.
Inizio e fine.
Perdere e vincere cambia la faccia della giornata, della settimana.
C’è una cosa che chi fa lo sport come lavoro prova sulla propria pelle ma è difficile da spiegare a tutti gli altri:
Quando perdi, quando le cose non vanno come sono state programmate è la fine del Mondo.
Senza mezze misure: la fine del Mondo.
Puoi provare a spiegarlo con le parole ma è impossibile farlo come vorresti.
Ti ritrovi disperso in qualche posto lontano da casa, ti fa male tutto: corpo per le botte e orgoglio per la sconfitta.
© Double Clutch Verona
Si schiaccia un interruttore.
Click.
Si schiaccia sempre quando il campo ti ha bastonato.
Hai perso e all’improvviso tutto pesa il doppio.
Le mancanze, le distanze, i ricordi, gli errori: tutto pesa due volte di più.
Ma quando vinci, come oggi, l’interruttore si spegne e tu puoi goderti il successo.
Breve e intenso.
Tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati perfettamente e delle piccole sbavature, di quei dettagli che devi ancora migliorare, beh di quelle ti preoccuperai da domani.
Chi vince festeggia e chi perde invece deve cercare le parole per spiegare la sconfitta a tante persone.
A sé stesso, ai ragazzi, ai media and so on.
Sono sempre parole che hai già sentito e che hai già pronunciato.
© Double Clutch Verona
Perdere fa schifo ovunque.
Vincere è bello ovunque.
Io in campo ci metto sempre tutto ma questo lo fa qualunque rugbista.
Di qualunque squadra.
Per sopravvivere ci devi mettere un qualcosa di più, quel pizzico di sale che da gusto alla pietanza, che ti permette di trovare l’equilibrio tra i sapori.
Questo equilibrio lo impari poco alla volta e qui, a Treviso, ho fatto dei passi importanti in questa direzione.
A starsene in giro per il Mondo a volte si sta male, spesso si soffre.
Se prendo in mano una cartina e faccio delle righe che uniscono i posti in cui ho giocato ne esce un triangolo gigantesco.
New Zealand, Japan e Italia.
Potremmo dire che ho scelto the long and winding road per esplorare l’universo, per conoscere i miei limiti, per diventare uomo.
E quel grosso triangolo disegnato può essere un mare avventuroso da navigare spensierato come un pirata ma può anche essere un viaggio difficile come nel triangolo delle Bermuda.
Puoi trovare te stesso o perdere te stesso.
Con la stessa facilità.
© Double Clutch Verona
Se ti trovi anche solo a 3 ore di distanze da casa è già come essere sulla Luna.
Perché se la tua agenda è piena di cose da fare 3 ore o 12 ore di aereo/treno/macchina sono lo stesso identico ostacolo..
Sono nato in Nuova Zelanda che nel rugby significa più di qualcosa.
È una terra che produce rugby players con un ritmo incredibile e sembra come se ogni atleta che viene da lì avesse una goccia di sangue magico nelle vene.
Come se tutti mangiassimo frutta da un albero miracoloso.
Ma non è davvero così.
Tutti in Nuova Zelanda giocano a rugby: nei parchi pubblici, nelle scuole e per strada.
E tutti in Nuova Zelanda credono in qualcosa di più importante della maglia che indossano, abbiamo tutti dentro la testa un seme che cresce e diventa qualcosa di tuo, tuo per sempre.
Ci sentiamo tutti parte di something bigger.
Always.
È il senso di appartenenza.
È questo il segreto dei rugbisti neozelandesi.
Perché grazie a questo sentimento accettiamo l’ncredibile strada di sacrificio che viene chiesto di percorrere per arrivare.
© Double Clutch Verona
Credi.
Se credi allora sei pronto al sacrificio.
Non viceversa.
Dopo il sacrificio, tanto sacrificio, forse arrivi.
Io ho fatto le mie cazzate.
Se mi guardo dietro penso che me ne sono andato via troppo presto dalla mia isola. Avevo 24 anni e a me sinceramente sembrava già tardi.
Molte persone importanti del movimento mi consigliavano di restare, di crescere con calma.
Ma io ero un po’ naive, volevo provare a tutti i costi la mia indipendenza tecnica, emotiva, umana.
La risposta più facile: partire, andare via.
In Giappone ho imparato a gestire la solitudine, la terribile solitudine dello sportivo.
Prima non la conoscevo del tutto perchè ero a casa.
Ho imparato a mordermi la lingua quando le cose non mi andavano bene. Come quando per un allenamento inutile di sabato mattina ho quasi perso il matrimonio di mio fratello solo per dimostrare il mio senso di appartenenza al team.
Ho imparato ad apprezzare il loro cibo e la loro incredibile etica del lavoro.
È stata un’esperienza diversa da qualunque altra: 6 stranieri in squadra ma solo 3 in campo ad ogni partita.
Quindi rotazione dei giocatori ogni settimana.
Complice qualche acciacco e qualche incomprensione ho giocato 2 partite in un anno.
Nuova Zelanda – Giappone per giocare solo 2 partite.
Homesick. Una mazzata che avrebbe steso un toro.
© Double Clutch Verona
Poi l’Italia, Treviso, un altro universo parallelo.
Qui sono cresciuto molto.
Ho iniziato a sentire il peso di ogni sconfitta sulle mie spalle, a capire quanto di me stesso metto in campo ogni volta che giochiamo.
Che è molto più della vittoria o dei punti di bonus: è tutta la mia vita.
Qui ho imparato il significato della passione cieca: siete tutti così.
Italians!
Vi lasciate trasportare dalle emozioni, in maniera irrazionale ma anche poetica.
È frustrante a volte.
È inspirational altre.
Ho cercato di fare mio questo approccio così latino e l’ho mischiato con la mia natura british per diventare un uomo migliore, un personaggio a tutto tondo.
Capace di lucidità e capace di passione.
Alla ricerca di un equilibrio che mi mantenga saldo al timone della mia nave mentre navigo nel triangolo.
Sotto la doccia ho pensato, come al solito, a tante cose.
Mi manca casa.
Per fortuna abbiamo vinto!
Non vedo mai i miei nipoti.
Per fortuna abbiamo vinto!
Ho perso i matrimoni dei miei migliori amici.
I miei amici sono in spiaggia a godersi l’estate neozelandese.
Io però ho molte altre cose da fare e oggi per fortuna che abbiamo vinto noi!
© Double Clutch Verona
Sono uscito dalla doccia sicuro di aver lasciato i pensieri più duri là dentro, portati via dall’acqua bollente.
Ti resta addosso la sensazione di scampato pericolo, come nella corsa ad ostacoli, quelle ad eliminazione in cui l’ultimo che passa il traguardo non parte per il giro successivo.
Win or go home, that kind of feeling. Always.
Lo sport a questo livello è una continua lotta con lo stress, con la pressione, con il desiderio di non deludere nessuno, prima ancora che con l’avversario di turno.
E con nessuno intendo nessuno-nessuno, nemmeno te stesso che stai investendo tutto ciò che hai in quegli 80 minuti, su un rettangolo di erba incastrato da qualche parte.
Ho e abbiamo ancora tante cose da inseguire, mete da segnare, battaglie da vincere.
Ho rifatto la borsa e me ne sono uscito.
Calmo e sereno.
Per qualche ora adesso posso godermi il gradito sollievo, la liberazione del successo.
Dura poco ed allora forse è meglio che mi affretti: vado a festeggiare con i ragazzi.
Svelti: una birra al capitano!