Guardo il mare della Sicilia, l’estate qui arriva sempre un po’ prima.
Alle mie spalle Capo D’Orlando, più di un lavoro per me: è un posto dove sono stato accolto bene e trattato come un figlio della città.
Ci sono venuto per la prima volta che ero da poco uscito dal college ed è stato qui che ho avuto il primo impatto con il basket europeo di altissimo livello.
Lega 2 da protagonista a Castelletto Ticino, trampolino di lancio per la serie A italiana, e poi sono venuto a Capo, in quello che è un vero e proprio paradiso terrestre.
Qui ho messo veramente le ali e i risultati ottenuti con la casacca di questa società mi hanno aperto le porte della Mensana Siena, il meglio che c’era in Italia.
Sono tornato qui in Sicilia, dopo 10 anni e l’ho fatto dopo essere diventato un uomo completamente diverso: ho tre figli adesso e una maturità importante.
L’ultima stagione è stata esaltante sia in campo che fuori. Siamo arrivati ai playoff e abbiamo dato del filo da torcere a Milano fino all’ultimo. Mentre la mia famiglia si integrava perfettamente con la città.
Ho tanti amici qui.
E non solo nel basket.
Un sacco di persone ci hanno fatti sentire amati, coccolati e ci hanno aiutati ad essere parte attiva della comunità.
Oggi però sono pieno di dubbi sul mio futuro.
La prospettiva di lasciare la squadra è reale e forse necessaria. Nella prossima stagione l’Orlandina giocherà la Champions League ed io me la sono guadagnata sul campo.
Ma giocare ogni tre giorni, molto spesso in giro per l’Europa è forse troppo per me oggi.
Troppo tempo tolto al mio riposo, tolto alla mia famiglia, ai miei figli.
In più la Sicilia è lontana un po’ da tutto e le trasferte sono sempre lunghissime, certo se non fosse lontano da tutto il paradiso, che paradiso sarebbe?
Tanti pensieri girano nella mia testa: smettere, continuare, dove farlo, nel frattempo i miei ragazzi corrono e giocano allegri in piazza Matteotti, ci mangeremo una granita più tardi.
Magari è l’ultima e loro non ne saranno tanto contenti.
In inverno, ogni domenica sera degli ultimi tre anni aspettavo le ore 20 italiane per aprire il sito della Lega Basket.
Prima cosa il risultato di Drake, poi quello di Sassari e infine, uno per uno i tabellini di ogni partita. Conoscevo a memoria o quasi i roster di tutte le squadre.
Ho sempre avuto questo rapporto viscerale con il basket e aver smesso di giocarlo non ha cambiato il mio sentimento a riguardo.
Sono tornato a Marquette e ho iniziato ad allenare, muovendo i primi passi da coach ma continuando anche a mantenermi in forma, più per me stesso che altro.
Pesi, tiro, allenamenti, posso dire che la mia routine non era cambiata troppo rispetto agli anni precedenti.
Era in estate che aver smesso diventava più pesante, ogni anno infatti durante il mercato, mentre si costruivano le squadre, la nostalgia a volte mi prendeva la bocca dello stomaco, era il campo che chiamava.
Poi però mettevo sulla bilancia la mia famiglia: mia moglie e i miei tre figli, la voglia di stare con loro sempre, di non costringerli a viaggiare per seguirmi.
Ricaricare l’auto non sarebbe stato facile.
La comodità emotiva e mentale della nostra casa mi avvolgeva e finivo con il lasciare il progetto del ritorno in una cassetto per rituffarmi in everyday’s life.
Ci sono decine di siti che parlano di basket e io, che sono uno studente del gioco, li leggo quasi tutti.
Si tratta di passione molto più che di un mestiere. Mi cade l’occhio su una notizia: Meo Sacchetti firma con la Vanoli Cremona, Lega 2, appena retrocessa.
Illuminazione, tutti i dubbi spariti in un istante, all’improvviso era chiaro cosa volevo fare, o meglio provare a fare, non era certo facile.
Prendo il telefono e mando subito un messaggio a Travis:
Meo ha firmato a Cremona, che facciamo?
Semplice, pulito pulito.
Io non avevo neppure parlato con il mio agente, con la mia famiglia né comunicato la mia scelta in Sicilia.
Mi è bastato leggere una news su internet per scrivere a Travis, per provare a convincerlo a rimettere le scarpe e tornare a fare quello che facciamo insieme da sempre.
(Se Meo ci avesse voluto, ovvio!)
Da quando avevamo 6 anni fino alla scelta del college, shoulder to shoulder, every day. Abbiamo imparato il gioco insieme, abbiamo imparato a gestire una squadra insieme e abbiamo imparato a costruire insieme.
Non ero del tutto sicuro della reazione di Travis, aldilà di quello che poteva scrivermi nell’immediato, ma io ero più che deciso.
In quei giorni non si sapeva neppure se Cremona avrebbe fatto la Lega 2 o la Serie A, differenza non da poco, soprattutto nel modo in cui si va a costruire una squadra: diversa fisicità, diversi giocatori, diverso tutto.
Cerco di mettermi in contatto con Meo, a volte però è più facile parlare con il Papa che col coach. Sia io che Travis siamo buoni amici anche di Brian Sacchetti e quindi decidiamo di provarci con lui:
rispondi Brian, stiamo cercando il babbo.
Presentati dalla Vanolki Drake e Travis Diener
Vibra il cellulare.
Meo ha firmato a Cremona, che facciamo?
Messaggio di Drake, un classico suo. Non voglio dire che mi abbia messo pressione in questi anni, ma qualcosa di molto simile l’ha fatto.
Era giugno 2017, e fino a quel giorno l’idea di tornare era stata più che altro l’opzione di un’opzione, una finestra tenuta aperta per far passare un filo di vento, quello della passione. Ma a me piaceva il calduccio della mia casa e finivo con il non aprirla mai del tutto.
Drake mi conosce e sa che tasti schiacciare per motivarmi, conosce le mie qualità, le mie esigenze.
Il pensiero di me e lui ancora insieme, allenati da Meo, di nuovo in Italia mi ha aperto uno spazio dentro che ho scoperto non essere ancora sigillato e ho deciso di iniziare con il testarmi al massimo.
Allenamenti durissimi a Marquette, tutti i giorni. Adesso mi allenavo con un obiettivo e volevo dimostrare a tutti che se avessi voluto provarci sarei stato pronto.
In estate i GM di più o meno tutte le squadre si trovano a Las Vegas per la summer league, e noi abbiamo organizzato un workout con Cremona proprio in quei giorni.
Di solito si dice che quello che succede a Las Vegas resta a Las Vegas.
Ma lo si dice perché di solito si combinano solo bravate là, non è questo il caso!
Sono sicuro che Drake fosse più nervoso di me per il risultato del provino, io ero sereno, la mia mente aveva già riacceso la luce.
Ero un po’ nervoso per il risultato del workout di Travis, ovviamente sapevo che si era sempre tenuto in condizioni ottime ma un conto è farlo con la tranquillità di farlo per sé stessi, mentre un altro è farlo in prospettiva di giocare di nuovo.
Allenamenti, risultati e pressione non sono cose da poco, soprattutto dopo tre anni passati nella serenità della famiglia, nella propria comfort zone.
Ma a Travis brucia ancora il fuoco dentro. E io lo sapevo.
E l’ho aiutato a riaccenderlo definitivamente.
Cremona è un posto magnifico, anche se ogni tanto mi mancherà il mare, ed è perfetto per le nostre famiglie.
Una partita a settimana e molte trasferte vicine geograficamente: Milano, Brescia, Varese, Cantù; il tempo per le nostre famiglie sarà tanto e lo useremo benissimo.
Giocare con Travis è come andare in bicicletta per me: una volta che hai tolto le rotelle non ti dimentichi più come si fa anche se non pedali da anni.
Tecnicamente ed emotivamente ci capiamo al volo, basta uno sguardo, a volte non serve nemmeno quello perché vediamo il basket con gli stessi occhi e ragioniamo in contemporanea sul parquet. Stesso stile, stessa cura dei dettagli, stessa mano bollente.
Il basket è il mio mestiere e lo è sempre stato, la responsabilità di ottenere dei risultati è un pensiero fisso e dimostra il mio rispetto per le società in cui gioco; ma ci sono dei momenti in cui riesco per un istante a fermarmi a riflettere.
Guardo Travis seduto sulla panchina.
Minuto d’acqua, la maglia sudata.
E mi rendo conto di quanto sia raro quello che a noi è stato concesso: con mio cugino ho fatto i miei primi palleggi, le nostre prime bombe.
30 anni!
30 anni dopo siamo qui, al massimo livello possibile a passarci il pallone, a discutere di schemi, a insegnare ai più giovani.
Faremo la doccia dopo l’allenamento.
Quattro chiacchiere in spogliatoio e ce ne andremo insieme verso casa.
Le gambe pesanti e la testa leggera.
Ci sono 2 mogli e 6 altri piccoli Diener ad aspettarci.
Ed è bellissimo così.
Travis Diener
Io e Drake abbiamo già giocato insieme anche in Europa.
Sassari, sei anni fa, io arrivavo dall’esperienza NBA e conoscere un mondo nuovo con l’aiuto di mio cugino ha reso il passaggio assolutamente indolore.
Eravamo più giovani, due americani in Sardegna, con le proprie mogli e l’amore per il basket.
Adesso siamo un esercito e giovani (forse) non lo siamo più.
Quando ho detto ai ragazzi che saremmo tornati in Italia hanno fatto i salti di gioia, e sapere che adesso passano ogni giorno con i loro cugini mi rende felice.
Se due cugini che giocano insieme hanno raccolto così tanto, figuriamoci sei.
Vorrei ringraziare Drake per avermi rotto un po’ le scatole per tornare, ma non serve farlo, lui lo sa già che gli sono grato.
Lo guardo a centrocampo che mi osserva durante un minuto d’acqua e sorride.
Chissà cosa gli passa per la testa.
Io mi chiedo semplicemente cosa ci sarà per cena, perché ho una fame lupo.
Ed è bellissimo così.