Respira.
Guarda davanti a te: i segni sulla pista, il riflesso del sole sul materasso.
Sgombra la mente.
Aria fuori.
Chiudi gli occhi.
Immagina.
Via.
Chi sei?
Sono un saltatore. Pausa.
Rumore d’ingranaggi, ferraglia.
No o almeno non solo o meglio non sempre o, meglio ancora, non semplicemente.
Non ho mai trovato nulla nella mia vita che fosse semplicemente semplice, ho trovato invece tante cose facili, perché madre natura mi ha fatto intelligente e brillante. Ho imparato a leggere a quattro anni, a scrivere poco dopo ed ho iniziato a masticare letteratura prima ancora di infilarmi un grembiule, ma questa esplorazione del profondo universo al di fuori di me, all'interno di altre persone, ha cominciato a far crescere un muro di complessità che si fa ogni giorno più alto e spesso ed è insieme una fortezza che mi protegge dalla banalità della vita quotidiana e un ostacolo per la normalità.
Ogni cosa cela una sua intima profondità, ogni particolare racconta un retroscena e ogni sfumatura racchiude un universo.
Quindi la risposta giusta è: non lo so. Non so chi sono. So che sono uno che non sceglie mai la strada semplice, che non può non filtrare tutto attraverso una lente che cerca il bello, il significante e la meraviglia dell'insignificanza, in ogni cosa.
Nel frattempo, salto.
© Ilaria Cariello
Testa bassa, l'energia va scaricata a terra.
Tutto quello che il suolo ti da, va trasmesso al baricentro, che deve avanzare. Progressivamente.
Corri dritto, fino al prossimo gradino.
Salto da che ho memoria, prima per toccare gli stipiti delle porte, poi per accarezzare i soffitti, per schiacciare una palla di cuoio in un cestino di seta e ora per guadagnarmi da vivere, per lasciare una traccia sul selciato, per prendere distanza da un suolo che sembra sempre meno abitabile.
Il salto in alto è una specialità bizzarra.
È l'unica disciplina sportiva, insieme al salto con l'asta, che ti irride con la realtà dei tuoi limiti ponendoteli di fronte, quattro metri in vetro resina che ti guardano dall'alto, con un sorriso di scherno.
A differenza della sua sorella di pedana l'asticella del salto in alto sa, che per superarla, non avrai il conforto o l'aiuto di uno strumento, come accade invece nel salto con l'asta, che non i tuoi piedi, i tuoi muscoli e le scariche elettriche dei tuoi nervi.
Volare ha sempre rappresentato un intimo desiderio per il genere umano ed allo stesso tempo un perfetto esercizio per misurarne coraggio, follia e contraddizioni.
Si contraddizione, perché se librarsi nell'aria e superare i propri limiti è ciò a cui ognuno intimamente aspira, allo stesso modo il conforto che si riceve dal suolo può essere paragonato all'umana paura che ognuno di noi ha di scontrarsi con una realtà che va oltre il conosciuto, oltre il conforto dato dalla consapevolezza di sguazzare nel proprio mondo in cui, seppur nell'ordinarietà, non ci si espone al fallimento. Un luogo dove le proprie ali, anche se non di cera, non rischiano di bruciarsi una volta che si fronteggia il sole.
Del resto si dice "restare con i piedi per terra".
© Ilaria Cariello
Il saltatore in alto no, se ne infischia di tutto questo e ogni giorno è un po' folle e un po' artigiano. Artigiano perché fa calcoli, lavora con lo scalpello e poi con la lima, disegna curve, sbuffa come un mantice battendo i muscoli roventi sull'incudine. Guarda il cielo e pensa ai centimetri che può rubargli e a modi sempre nuovi per farlo.
La follia è questo, dedicare la propria vita a catturare centimetri, che sono evanescenti per chiunque, ma non per noi, che ce li vediamo chiaramente di fronte e che lottiamo anni per coglierne poche manciate.
Il mondo prende una strana direzione.
Chiunque sceglierebbe una strada dritta e veloce per raggiungere i propri sogni.
Io ho scelto una curva.
Ci sono tanti modi per volare.
Chiunque nella propria vita salta. Chiunque può provare a staccarsi da terra, ma dal momento in cui questa attività ha assunto i caratteri di una competizione tra se e gli altri, tra sé e il suolo, tra sé e l'aria, tra sé e la realtà, uomini più o meno equilibrati si sono ingegnati per escogitare strategie sempre nuove per ingannare la gravità.
E anche qui il salto in alto ci stupisce con la sua unicità, poiché è in assoluto la disciplina sportiva che più si è trasformata da che è stata istituzionalizzata nella sua forma agonistica. Si è saltato da fermo, si è saltato sforbiciando.
Si è saltato accarezzando l'asticella col ventre in un gioco di amore sospeso.
Poi un giorno qualcuno ha tracciato un netto confine tra noi e quella che da amante esigente si è tramutata in nemica infedele. Un giorno un uomo ha deciso di fronteggiare la gravità dandole le spalle, correndo un po' dritto e un po' storto, confidando nelle leggi della fisica e della matematica, affidando alla memoria dei nostri muscoli il compito per andarle oltre, quando gli unici punti di riferimento sono quelli di un mondo a testa in giù.
Dick Fosbury, il più folle. Una mattina ha fatto il contrario di tutti, ha sfidato la normalità ed ha per questo guadagnato la sua personale immortalità. Dick ha disegnato le tracce di un sentiero che altri folli hanno percorso e percorrono tuttora, sempre alla ricerca di modi nuovi e sempre più efficienti per volare.
Serve più forza o più velocità?
Servono scarpe più dure o più morbide?
Servono più o meno chiodi?
Mille domande, mille esperimenti che hanno forgiato corpi e stili differenti, saltatori che hanno affrontato la loro sfida correndo raggi di curva infinita, parabole più o meno acute, qualsiasi cosa, poiché siamo disposti a tutto pur di provare l'inebriante sballo di un secondo di volo in più.
Ben consci di una cosa: qualsiasi cosa farai lassù, te la devi guadagnare, sudare e costruire quaggiù.
Se vuoi giocare in assenza gravità, se vuoi baciare il cielo, devi prima sguazzare nella melma insieme ai comuni mortali che non hanno il coraggio nemmeno per guardarlo di sfuggita, quello spaccato di altitudine che tu vuoi conquistare.
Ci siamo.
Il corpo è una corda di violino.
I suoi movimenti sono precisi come le dita che la pizzicano, piccoli spazi, piccole posizioni, impercettibili contrazioni.
Il diavolo è nei dettagli e i dettagli determinano la differenza tra banalità e grandezza.
Tutto quello per cui ti sei preparato, è qui, ben piantato al suolo.
È ora di abbandonare le proprie sicurezze, di perdere il controllo.
Il corpo, la mente, l'anima, spiccano il volo.
Lo sport è vita. Lo sport è la mia vita.
La mia incapacità di affrontare con semplicità la vita quotidiana mi ha sempre instillato un profondo senso di solitudine. Pur immerso in una famiglia piccola, complicata, ma affettuosa. Pur circondato da amici che sono anch'essi qualcosa di più vicino ad una famiglia.
Sempre, quel muro mi ha fatto sentire solo, mi ha fatto sentire distante, non comprensibile.
Questa inconscia consapevolezza mi ha guidato nelle mie scelte e non è un caso dunque, che io abbia scelto una disciplina così solitaria.
Gli sport individuali hanno una natura schizofrenica, sono luce e buio. Ti rendono dipendente da una sostanza tossica chiamata adrenalina che scorre come un fiume in piena e sgorga dalla consapevolezza di aver fatto qualcosa di grande che in fondo, lo sai, non devi spartire con nessuno.
Vinci, fai record e sei solo tu. Tu che hai lottato, che hai faticato. Hai mille persone che ti circondano e senza le quali non saresti nulla, eppure sotto i riflettori, chinando la testa per vestire una medaglia sei cieco e resta solo questo, la droga dell'invincibilità.
Ma si è soli e per questo esposti.
Una squadra ti protegge, una squadra ti nasconde.
Noi possiamo farlo solo dietro una barricata di scuse o semplicemente una coperta di silenzio.
Sei solo.
Sei solo dentro la tua testa quando ogni giorno ti alleni. Sei solo nel porti obiettivi e nell'incastrare pensieri.
Sei solo e sei esposto.
Puoi ingannare e ingannarti quanto vuoi, ma la realtà ti smaschera.
C'è il lato oscuro, c'è la droga della vittoria e l'abisso del fallimento, che non è necessariamente perdere, no. Il fallimento ha mille volti, ma da qualunque parte lo si voglia guardare, egli costituisce il nostro più grande nemico, la nostra più grande paura e per alcuni anche la principale fonte di motivazione.
Personalmente il fallimento ha costituito un violento impatto con la realtà.
Il fallimento mi ha fatto rendere conto che la natura delle cose non è necessariamente idilliaca, non è necessariamente delineata o lineare.
Ho scoperto che il mondo non va sempre come vogliamo, che la felicità non è scontata e così la realizzazione dei propri sogni.
Lo sport mi ha fatto sorridere e urlare di gioia. Lo sport mi ha insegnato a sognare. Lo sport mi ha dato la possibilità di capire meglio chi sono e chi voglio essere. Lo sport mi ha regalato le emozioni più belle della mia vita.
Lo sport mi ha fatto diventare adulto.
Adulto per me è colui che acquisisce una maggiore consapevolezza del mondo che lo circonda, delle sue leggi, delle sue luci e soprattutto delle sue ombre.
Nella mia solitudine e nella condizione di solitudine a cui la mia disciplina mi sottopone ogni giorno, ho cominciato a scavare dentro di me.
Ognuno di noi lo fa, ognuno di noi ad un certo punto si guarda in uno specchio e decide che è il momento di conoscere un po' meglio quell' immagine che si trova di fronte.
Per me è stato il desiderio di superarmi, è stato il constatare che un'ingenua inerzia non bastava più per allargarmi un sorriso sul volto, a farmi capire che dovevo capire.
Che volevo capire.
Volevo capire meglio chi sono io e chi c'è dietro a tutti questi pensieri, a queste parole e a questi sogni.
Ogni giorno mi alzo, sento i muscoli indolenziti, mi affaccio alla finestra e vedo un sole che non è lo stesso che mi ha regalato la prima carezza quando sono nato, il cielo non ha il colore che dovrebbe avere e l'aria non lo stesso profumo che mi fa sentire a casa.
Ogni giorno mi alzo e faccio un passo avanti nella mia scelta.
La mia scelta è di non accettare la realtà. La mia scelta è di non accettare la normalità.
Vincere la paura del distacco, dal suolo, da casa, dalla famiglia e dagli amici mi ha permesso di capire meglio chi sono, ogni giorno.
Sono solo e non sono solo.
Sono un folle che dipinge la propria follia attraverso linee immaginarie lungo un corridoio d'aria che deve essere quello giusto, per andare un po' più su.
Lo sport è la mia vita.
Lo sport è chi sono, anche troppo.
C'è il rischio che la metà umana venga fagocitata dall'uomo con le scarpe chiodate ai piedi, ma non ci sarebbe lo stesso gusto senza eccessi e senza stranezza. Non ci sarebbe brivido, senza ossessione.
Dunque a te, nella fase più bella che è il volo, quella fase in cui i tempi sono troppo brevi per avere il controllo, quegli attimi che sono tanto impercettibili quanto densi per coloro che li abitano, dedico queste parole e una poesia.
La mia ode all'arte della follia che è il vivere per volare.
Galleggio?
Dove sono?
Non lo so, il mio corpo si.
Questa è una dimensione che non è adatta ai senzienti o ai deboli di cuore.
Qui non ci sono regole.
Qui è libertà pura.
Non ci sono affanni.
C'è solo il vuoto e il godimento di scivolarci dentro.
Volo.