La vita può far paura, a volte.
Ti può mettere davanti alle domande più profonde, prima ancora che tu ne abbia una piena comprensione.
Ti può costringere a pensare in grande prima del tempo.
Ti costringe a prendere decisioni, a domandarti chi sei, chi sei stato e chi vorrai essere. È ironico.
Ed è anche bellissimo.
Il motore dell’esistenza stessa: una delle ragioni per cui siamo quello che siamo.
L’acqua è amore, per me.
Fin dal primo giorno.
Ma, nel corso del tempo, è stata anche dolore e perdita.
È stata una ferita.
Una paura che mi ha accompagnato a lungo, figlia dell’esperienza passata.
La paura del mare aperto, la paura degli squali, la paura dell’ignoto: un qualcosa in grado di farmi soffrire.
Di farmi rivivere momenti dimenticati.
© LA PRESSE - Gianmattia d'Alberto GMD
Quando ho iniziato a nuotare ero soltanto un bambino.
Non avevo nessuna idea di futuro, non sognavo di diventare un campione, non sapevo neppure che ci sarebbero state delle gare, se avessi voluto.
Ero soltanto un bimbo timido.
Il più piccolo e il più magro della classe, che però in acqua si sapeva trasformare.
Perché sotto il pelo dell’acqua, anche se è trasparente, puoi nascondere qualsiasi cosa, e il silenzio ti protegge dall’esterno, avvolgendoti completamente con i tuoi pensieri.
E da quel momento in avanti, la sola cosa che conta è il tuo rapporto con essi.
Mi sono innamorato del nuoto perché era uno sport individuale, in cui però non mi sentivo mai da solo, perché i compagni erano lì, sempre insieme a me.
Mi sono innamorato perché quando cambiavo elemento ero una persona diversa, come se fossi davvero capace di volare sull’acqua.
Come se lì dentro avessi un super potere.
© LA PRESSE - Gianmattia d'Alberto GMD
Dubbi ne ho avuti, certo.
Come chiunque altro, nello sport.
A volte la motivazione scende e, in quei momenti, persino l’idea di uscire a far festa con gli amici sembra più importante della tua carriera tra le corsie.
Poi, però, passa.
Tutto passa.
Se sai darti piccoli obiettivi, giorno dopo giorno, per salire di livello sempre, passa qualsiasi cosa. Anche i giorni peggiori.
Nel continuo ripetersi della bracciata, la mente si libera.
Ritrova il suo spazio vitale.
Il processo mentale è un’infinita alternanza tra eccesso e compostezza.
Tra silenzio e caos.
Tra libertà e struttura.
© LA PRESSE - Gianmattia d'Alberto GMD
Sono così tante le cose a cui devi pensare, che ho imparato a liberare la testa, quando scendo in acqua per un allenamento.
Si svuota.
Viene quasi cullata dal rollio delle spalle.
L’anima si appoggia sulla ripetitività di quel gesto, sui tempi del cronometro e sugli esercizi da fare.
Divento parte dell’acqua, e in essa mi perdo.
Resto io, resto me stesso, ma sono migliore.
Sono più forte.
Perché ho scoperto che il corpo può fare cose davvero speciali, quando il talento incontra il duro lavoro.
Mentre la gara, invece, è qualcosa di completamente diverso, e assomiglia di più ad un action movie, di cui sei il solo protagonista, e dove ogni piccolo dettaglio ha un valore enorme.
Tutto conta e, allo stesso tempo, tutto è di enorme importanza soltanto per te, non per gli altri.
Per la tua psiche.
Per il tuo equilibrio.
Siete tu e la tua performance, nient’altro.
La testa entra in uno stato di incoscienza completa, uno stato di flow, che consuma le vasche con una velocità disarmante. Potresti nuotare fino alla luna.
Poi, soltanto quando sei arrivato alle ultime bracciate, il cervello torna a funzionare, e si focalizza sui dettagli, anche i più piccoli, quelli che fanno la differenza tra una medaglia e una sconfitta.
© LA PRESSE - Gianmattia d'Alberto GMD
Ci è voluto del tempo per comprendere quanto forte potessi davvero diventare.
Del tempo per capire che le acque libere e la piscina potevano coesistere.
Del tempo per diventare l’atleta che sono oggi.
Dentro e fuori dall’acqua.
Sono diventato professionista a soli 18 anni, e ricordo ancora la tensione che ho provato l’anno seguente, alle Olimpiadi di Rio, quando mi sono ritrovato in mezzo a nomi così importanti del nuoto mondiale.
Da quel giorno in avanti mi sono impegnato per andare al blocco di partenza sempre con il sorriso, esprimendo sempre tutta la mia felicità nel nuotare.
Il crono è venuto di conseguenza.
Mi sono accorto, dal primo record tedesco in avanti, che nulla cambia, passando dalle piscine più piccole a quelle dei Giochi.
L’acqua è la stessa, le corsie anche.
Certo, cambiano gli avversari, e più sali di livello e più è difficile toccare la piastra per primo, ma se riesci a restare te stesso anche mentre il mondo, fuori, diventa sempre più grande, avrai trovato la ricetta per diventare speciale.
Una chiave per guardare sempre con orgoglio l’uomo nello specchio, e per avere la forza di chiedere al futuro soltanto una cosa, e una cosa soltanto: di essere felice.
Di essere acqua.