Giacobbe Fragomeni

Giacobbe Fragomeni

11 MIN

Intervallo tra il settimo e l’ottavo.
Sono seduto al mio angolo e respiro a bocca aperta.
Polmoni al massimo dello sforzo.
Gli occhi sono pesti e le braccia belle pesanti.
Sul mio petto si vedono molto chiaramente gli schizzi di sangue.
Sui guantoni invece non si notano.
Quel giorno portavo i guantoni rossi.
Sono stanco ma lucido.
E integro: quel sangue non è il mio.

Giacobbe Fragomeni

All’altro angolo David guarda il vuoto mentre ascolta il suo trainer.
La sua faccia è una maschera di sangue.
Una maschera proprio.
Anche il nastro bianco che chiude i guantoni sui polsi da bianco che era è diventato di un colore rosa.
Che battaglia.
Gong.
In mezzo al ring.
Ancora.


Giacobbe lo sai che rischi di finire il match prima della dodicesima?

Giacobbe ma lo sai contro chi vai a boxare?

Simpatici i giornalisti inglesi.
Ma niente in vita mia mi ha mai fatto paura e rispondo ad ogni domanda con un’altra domanda, a testa alta, sempre scandendo bene le parole:

voi lo sapete invece contro chi dovrà combattere David Haye?

Quando il mio manager mi propose di combattere per il titolo europeo dei pesi massimi leggeri nessuno sembrava entusiasta dell’idea.
Nessuno tranne me.
David Haye era il più forte in assoluto della nostra categoria.
Imbattuto da professionista.
Come me.
Lui quasi tutte vittorie per K.O.
Io un combattente più duro a morire.
11 anni più giovane di me, 15 centimetri più alto.

Il mio primo maestro, Ottavio “il nonno” Tazzi, una leggenda della nostra boxe diceva spesso di me due cose: che ero un buono e che non volevo mai sapere chi dovevo affrontare sul ring, mi fidavo delle scelte della palestra.
Adesso che tutto era diverso, adesso che si combatteva per un titolo europeo, la mia anima mi diceva che ero lo stesso uomo di sempre: un pugile, un pugile duro che quando c’è da combattere combatte, non importa chi mi trovo davanti.

Giacobbe Fragomeni

Giacobbe Fragomeni

Avevo già incrociato David alle qualificazioni per Sidney 2000, prima di entrare nel circuito del professionismo.
Pesava 81 chili: molto, molto meno di quanto pesasse nel 2007.
Lo avevo battuto 11 a 1 e per lui il sogno olimpico si era spento prima di iniziare.
Chissà magari aveva appeso la mia foto sul suo sacco in palestra dopo quella sconfitta.
Fatto sta che Sky Sports presentò l’incontro con i cartelloni: The path to glory begins with revenge.
Ma la vendetta doveva sudarsela.
Guadagnarsela con i pugni.
Non a parole.

Andiamo in Inghilterra, Londra, a casa sua, io e tutto il mio gruppo.
Sono carico, ho fiducia e l’esperienza dei miei 37 anni mi fa sentire sia affamato che paziente, combinazione letale.
Il clima tra il mio entourage però è teso, in tanti non capiscono la mia scelta di affrontarlo, la vedono come un azzardo ma io sento di avere in serbo qualcosa di grande.
Saliamo sul taxi per raggiungere la conferenza stampa e non ne posso davvero più dei musi lunghi e nervosi dei miei.
Decido di affidarmi al mio fedele Lino Banfi per sciogliere la tensione di tutti, canzoni a palla e risate assicurate per il taxi intero.
Ragazzi ci sono questo è il messaggio e un gesto del genere vale più di mille parole.


La conferenza stampa fila via tra l’arroganza della stampa locale e la mia voglia di rispondere per le rime.
Sono sempre stato bravo a picchiare duro anche in quello.
Al peso del giorno dopo la bilancia dice 90 chili e 700 grammi per tutti e due. Sembrerebbe impossibile da credere.

Il grande giorno è arrivato.

Non mi aspettavo niente di diverso dalla pioggia di buuh che mi hanno accolto all’entrata.

David sarebbe entrato tra gli applausi della sua gente, sulle note altissime di una canzone rap e dopo una intro altisonante recitata dallo speaker: revenge, path of glory, e altro ancora.
Parole, parole parole.

Giacobbe Fragomeni

Io sotto l’accappatoio vestivo la maglietta di un altro figlio della Calabria, di un altro campione che lottava giorno dopo giorno, centimetro su centimetro per dimostrare quanto vale, anche se è nato con i piedi non proprio fatati: Rino Gattuso.
Durante la camminata fino al ring i versi di disapprovazione dei tifosi di Haye hanno quasi coperto le note di Bacco Perbacco, Zucchero era stata la mia scelta. Italiana al 100%.

Al centro del ring David toglie la maglietta e sembra aver lasciato il ring al fratello maggiore: ha portato la corazza, mi sembra il doppio rispetto al giorno del peso e sono certo che sia ben oltre i 91 chilogrammi.
Sembra una statua.

Ma la mia mente resta lucida, i pugni duri e le braccia strette e alte a coprire il corpo.
Sono pronto.

Giacobbe Fragomeni

Il primo round è suo, ma il centro del ring è mio, da subito e così sarà per tutto l’incontro.
Il suo sorriso compiaciuto, un po’ sbruffone, mi carica a pallettoni. Era abituato ad avere vita più facile.
David picchia forte, alterna i colpi e si tiene a distanza.
Ma io sono sempre stato un toro sul ring, guardia alta, chiusa, sono un grande incassatore.
Forse l’incassatore migliore che David abbia mai incrociato.
Nel secondo e nel terzo inizio a piazzare i miei colpi, cerco l’affondo diretto, al volto, costante come un bulldozer, senza perdere mai la compostezza e il centro del ring.
Fraggomenni!
Lo speaker non pronuncia troppo bene il mio nome, ma lo pronuncia spesso, eccome se lo fa.
Il sorriso di David inizia a spegnersi poco alla volta.
Mi colpisce, certo.
Ma i colpi che di solito gli bastavano per una vittoria facile vanno a segno e poi tornano a lui, in uno scambio sempre più brutale.
A metà del terzo si sente lo spicchio di tifos italiano gridare: Giacobbe! Giacobbe! Giacobbe!
Con tutte le doppie al posto giusto.

Giacobbe Fragomeni

È un momento esaltante. L’incontro può andare in ogni direzione possibile e ogni pugno dato e ricevuto è pesantissimo.
David inizia a cambiare la postura, si ingobbisce, le braccia non stanno più su belle alte a parare la faccia; io sono composto, sempre uguale, perfettamente dentro il piano.

Il sesto round è crudo come non mai.
Lui ha capito che il suo piano è saltato, ha capito che se vuole vincere deve buttare giù un toro a cazzotti e parte a testa bassa, come se sentisse di dover accellerare il prima possibile.

Io non faccio un passo indietro, anzi.
Sinistro-destro e subito ancora sinistro-destro.
Tesi, diretti, dritti in faccia.
Gli ho aperto l’arcata sopracciliare.
Un taglio netto, profondo.
Gli ultimi due round e mezzo li abbiamo combattuti in un misto di sangue e sudore incredibile.

Oltre 6 minuti di grande ferocia, da parte di entrambi; io puntavo alla ferita, per riaprirla e impedirgli una visuale pulita, lui alternava i colpi il più possibile.
Momenti selvaggi.
Non c’è un ruond nel quale David non lasci lì un colpo a gong suonato, o poco prima o poco dopo, sempre al limite.
Ma resto concentrato anche se col fiato sempre più pesante.
Alla nona ripresa ormai l’incontro è crudo e pericoloso, ogni cazzotto può essere l’ultimo, ma l’orgoglio di entrambi è lì ritto come un fuso, inscalfibile.


David prende il centro del ring per la prima volta e parte con una combinazione incredibile, più di 10 colpi, un matador che cerca di finire il toro prima di uscirne con le ossa rotte.

Accuso il colpo e le gambe barcollano un attimo all’indietro.
La mente è lucida ma per un istante mi ritrovo piegato.
Lui mi attacca quando sono legato alle corde, una manovra ai limiti del regolamento, forse oltre.

Una scorrettezza.
Colpisce il volto mentre non mi posso difendere.

L’arbitro inizia il conto.
6
7
8
9

Vorrei continuare.
Potrei farlo.
Ma sarebbe pericoloso, il mio angolo getta la spugna.

È finita.

Giacobbe Fragomeni
Giacobbe Fragomeni
Giacobbe Fragomeni

Un incontro epico, durissimo.
Combattuto contro il parere di tutti.
In spogliatoio dicevo a me stesso e a chi poteva sentirmi che: basta, non combatto più.
Tanto bruciava.
Ma era stata un’impresa la mia. Lo capii nelle ore seguenti.

Io e David siamo diventati amici, mi invitò a Cipro e lo aiutai a preparare l’assalto al titolo mondiale, che poi vinse.

Di lì a poco lui sarebbe salito di categoria e mi mostrò un grande rispetto dicendo che avrebbe lasciato la corona vacante solo se mi fosse stata concessa l’occasione di combattere per averla.

Lui vinse il suo titolo.
Io vinsi il mio.
Per un periodo guardammo il mondo dall’alto della piramide, ognuno con la propria corona in vita.


Mi ricordo di una sera a Cipro, a cena parlavamo e scherzavamo come amici di vecchia data.
A un certo punto sua moglie ci interruppe e ci disse: “ma un mese fa non ve le stavate dando di brutto voi due?”

Si, è vero.
Questa è la boxe baby.

Giacobbe Fragomeni / Contributor

Giacobbe Fragomeni