Il nostro film si intitola “Around a vision”.
Il nostro film.
Fa ancora strano dirlo.
Non so dire con certezza se si è trattato di un atto di fede o di un’esplosione di follia. O di entrambe.
L’unica cosa che conta è che il risultato è stupefacente ed emozionante.
Era da una vita che giravamo alcune tra le location più belle del Mondo portando a spasso il nostro sport, la nostra arte: dalla Spagna alla Malesia.
Sempre un’orgia di colori, di salti, di evoluzioni.
Pillole in microfilm da prendere a monodosi.
Video caricati su youtube.
Un modo diretto e semplice di raccontare una disciplina complessa ed emozionante.
Ma a noi 4 non bastava più.
Volevamo fare altro.
Volevamo raccontare su video ciò che il parkour rappresentava per noi, che è molto di più di una sfida alla gravità, ma è un percorso di crescita e di ricerca spirituale.
Si alimenta nella pratica.
Si nutre di concentrazione.
Diventa allo stesso tempo frenesia e meditazione.
Allo stesso tempo contatto con la natura ed assaggio dell’anima più intima della città.
Ci siamo messi in testa di raccontare a tutti la nostra visione e di fare qualcosa di assolutamente nuovo, per certi versi di pazzo: raccontare in un film lo straordinario percorso di crescita che questa disciplina può regalarti.
Siamo partiti cercando qualche sponsor.
No answers.
Ma se non si fosse trattato, per l’appunto, di una visione lo avrebbero saputo cogliere tutti facilmente e quindi ce ne siamo fregati del parere dei miscredenti.
Abbiamo scelto di autoprodurcelo, decidendo tutto quanto da noi: location, story board, logistica.
Poi dopo mesi di pianificazione siamo finalmente partiti alla volta dell’India.
Why India?
Beh ci era sembrato il luogo più adatto di tutti.
Per i colori e gli odori che mette in mostra, per la sua profonda natura spirituale, per l’unicità del rapporto uomo-natura, che sembra essere rimasto intatto in pochissimi posti al Mondo ormai.
E poi, per una volta eravamo tutti d’accordo su una cosa!
Meglio approfittarne.
Quando siamo atterrati a Delhi erano le 4 di mattina.
Il viaggio era stato di per sé stancante oltre ogni immaginazione e l’unica cosa che avevo voglia di fare era di raggiungere l’albergo e farmi una profonda dormita.
Google maps, indirizzo, taxi, pezzetto a piedi ma… ma quando arriviamo al civico prestabilito non ci troviamo niente, ground zero!
Un po’ stralunati siamo entrati in un albergo lì vicino e abbiamo chiesto qualche informazione. Ci hanno detto che l’hotel in cui avevamo prenotato una camera mesi prima era stato raso al suolo.
Ci hanno anche detto che è normale lì da loro, che gli alberghi vengono tirati su e poi tirati giù con velocità impressionante.
Cambiano faccia, gestione, personale, in un vorticoso e continuo stravolgimento.
Poi quando abbiamo girato la città si è capito il perché.
Delhi è una giungla.
Anzi è peggio di una giungla: più sporca e puzzolente.
Il livello di inquinamento della città intera è mostruoso e ci vivono dentro milioni di persone, immerse nella povertà più assoluta.
Sinceramente non è facile passarci in mezzo con serenità, senza rimanere storditi da quello che ti circonda.
Noi a Delhi non siamo riusciti a fare una singola ripresa di parkour per il nostro film, nemmeno una. Perché quella nube densa, cupa e sporca che resta sospesa a mezz’aria nella città, incatramando i piani più alti dei grattacieli ci dava nausea e giramenti di testa.
Nelle ore di punta non si riusciva nemmeno a vedere la luce del sole, mi sentivo soffocare.
Dopo Delhi siamo montati in macchina con un driver locale, non potrò mai dimenticare la schermata di Google maps che diceva che avevamo davanti 10 ore e mezza di auto per raggiungere Jodhpur, seconda tappa.
Le strade fuori da Delhi erano come disegnate in mezzo al nulla, disperse in un mondo colorato con tenui colori pastello. Un’infinita distesa di capanne in fango, qualche baraccopoli, poi chilometri infiniti del niente più assoluto.
Una fila impressionante di camion intasava costantemente le carreggiate in una interminabile sinfonia di clacson.
Jodhpur, la città del lago, è comunque più calma, adatta ai turisti: sembra un altro continente rispetto a Delhi.
Ogni volta che abbiamo acceso la camera lì è stata pura poesia.
Poi ci siamo innamorati.
Ci siamo innamorati della location di alcuni video che stavamo guardando: si vedevano dei fantastici tetti di un intenso colore blu e volevamo andare a farci qualche ripresa.
E ci siamo spostati a quella che gli indiani conoscono come la Città Blu.
Dopo ore a girovagare per la città non avevamo ancora trovato i nostri tetti.
Abbiamo chiesto informazioni in uno dei rarissimi info point che puoi trovare in India e…avevamo sbagliato: quei tetti erano a Bundi, 10 ore di auto in direzione sud.
Il nostro driver rideva come un matto mentre con ogni probabilità ci predendeva in giro nella sua lingua.
Ma io non volevo saperne e ci siamo fatti quest’altra odissea su 4 ruote e, come vedrete nelle immagini, ne è valsa veramente la pena.
Abbiamo corso e saltato su tetti magnifici, giocando ad inseguirci con le scimmie che si arrampicavano con noi, sfidandole in agilità e velocità.
Quattro giorni stupendi trascorsi a testa in giù durante il giorno e con le note di Jay-Z e del suo Life of Pablo a battermi forte nei timpani la notte.
Pure freedom.
Finito il capitolo Bundi abbiamo preso un treno per Varanasi.
Più che un treno un carro bestiame dove centinaia di persone si accalcavano le une sopra le altre, tutte dirette verso la città più spirituale dell’India intera, la città dove bruciano i loro morti.
Tutto ciò che avevamo appreso fin lì lo abbiamo dovuto dimenticare.
Abbiamo dovuto ridefinire il concetto di povertà.
Quello di sporcizia.
Ma anche quello di spiritualità.
Di meditazione.
Un viaggio dentro, davvero.
Non è stata l’ultima tappa, anzi.
Bangkok, frenesia allo stato solido.
Rangoon, in Birmania, dove abbiamo visto una pagoda tutta d’oro.
E poi Bagan, sempre nel myanmar, dove abbiamo girato scene action pazzesche dentro la valle dei templi.
Un’area di oltre 100 chilometri quadrati di templi abbandonati nei quali ci siamo potuti sbizzarrire, cercando di evitare l’incontro con la polizia locale e soprattutto quello con alcuni tra i serpenti più velenosi del pianeta, che abbondano in quella giungla di mattoni e vegetazione.
È stato un viaggio pazzesco.
Un viaggio dentro noi stessi, molto di più che un accumulo di chilometri e riprese in HD.
Un viaggio alla ricerca di un’esperienza più spirituale che ci aiutasse a ritrovare una migliore versione di noi stessi una volta tornati a casa.
Abbiamo voluto mettere su pellicola il nostro racconto, la nostra sinfonia.
Come una lunga canzone fatta di immagini che rappresenta la voglia di esplorare e di esplorarsi attraverso quel fantastico mix di arte e sport che è la nostra disciplina.
Un tuffo in un Mondo straniero per riemergere di nuovo nel nostro con un vestito nuovo.
Una visione, resa reale.