Mi preparo ad eseguire il mio movimento, il movimento Cassina.
A questa sequenza il ginnasta deve arrivare dopo due granvolte nelle quali si dà lo slancio per la fase di volo, che sarà lunga e pericolosa.
Ed è in quel momento che ci si stacca dalla sbarra per effettuare una rotazione di circa 450° intorno all'asse trasversale della stessa: in pratica un salto mortale con il corpo teso, compiendo nello stesso tempo un'altra rotazione di 360° sull'asse longitudinale, cioè un’avvitamento.
È un movimento complesso, talmente unico da essere mio, sarà mio per sempre e per chiunque vorrà mai riproporlo in futuro.
Lo eseguo alla grande.
Proseguo la granvolta con naturale fluidità e riesco ad impostare il terzo salto di sbarra.
È un doppio salto raccolto con un avvitamento, lo aggredisco con estrema convinzione e padronanza.
Sento la tensione adrenalica trasformarsi lentamente in gioia, secondo dopo secondo, la parte più complessa dell'esercizio l'ho eseguita molto bene.
Lo so io.
Lo sanno i giudici.
Lo sa tutta l’arena.
In maniera attenta e concentrata eseguo un elemento con una mano sola, sono disinvolto, sono a mio agio con l'attrezzo.
Atene, 23 Agosto 2004, un caldo infernale dentro e fuori l’arena: è il giorno della finale Olimpica alla Sbarra.
Si uno degli attrezzi piu' insidiosi e rischiosi della ginnastica artistica.
Posso definirlo come uno dei giorni più importanti della mia carriera sportiva, uno dei giorni che ha maggiormente segnato la mia crescita personale come uomo.
Prima di presentarmi alla giuria sistemo i miei fedeli paracalli, li slaccio e li riallaccio come di consuetudine: un rito che si ripete sempre identico.
Scaramanzie, rituali, gesti che isolano l’atleta e lo riportano istantaneamente allo stato mentale di assoluta e perfetta concentrazione nel quale vive e lavora ogni giorno.
Ci si ancora a certi gesti.
Mettere la magnesia, come faccio accuratamente in ogni gara da anni, fa evaporare un po’ di quella tensione che, devo ammettere, cominciavo a sentire.
Nel momento in cui mi viene dato il via dai giudici mi presento loro alzando il braccio, in segno di saluto, uno dei formalismi rimasti nel mondo cavalleresco di cui faccio parte.
Mi avvicino alla sbarra accompagnato dal mio allenatore e scattano gli automatismi giusti, afferro l'attrezzo, prendo un po' di slancio e acquisto velocità con due granvolte che mi fanno eseguire il primo salto di sbarra, il Kovacs teso (un doppio salto mortale sopra l'attrezzo) lo eseguo molto, molto bene.
È il momento del Cassina.
Ho già visto tutto questo, io l’ho già vissuto.
Le ore di ossessiva ripetizione del gesto in palestra, l’allenamento portato all’estremo, ecco che torna tutto, esattamente così come lo abbiamo programmato.
Proseguo con uno stalder, un volo a gambe divaricate che mi porta all'elemento che precede l'uscita: il giro adler alla verticale con grande naturalezza mi accompagna alle granvolte che mi danno la giusta velocità per preparare la fase finale, mi rendo realmente conto che sto riuscendo nella grande impresa.
Eseguo il doppio salto teso con 2 avvitamenti ed a stento riesco a trattenere un sorriso che si allarga sul mio volto.
L'arrivo è ottimo e ho un grande controllo nel momento in cui i piedi prendono contatto sui tappeti.
Esulto portando le braccia al cielo, i pugni chiusi, duri come quelli di un pugile.
Gli sguardi della Giuria sono quasi stupiti per l'esercizio impeccabile che hanno appena valutato, ma io cerco altri 4 occhi tra tutti quelli presenti nell’arena.
Sono i 4 occhi meno stupiti, perché sono occhi che mi conoscono bene.
Papà Carlo e Mamma Tiziana sono immobili tra gli spettatori, quasi più elettrizzati di me.
Questo è il momento nel momento, la magia nella magia.
Vengo travolto dall’abbraccio del mio allenatore e del fisioterapista.
All’improvviso il ghiaccio che avvolgeva la scena si scioglie completamente ed io esco dalla trance agonistica, sento il trambusto: tutto questo trambusto.
La possibilità di vincere la medaglia d'oro c'è, aspetto il verdetto della Giuria con lo sguardo leggermente basso perché non voglio vedere dei numeri.
Voglio capire in base agli applausi del pubblico e alla gioia dell'allenatore qual'è il punteggio.
Io voglio che sia il boato ad assegnarmi una medaglia.
Eccolo, il boato.
Poi il punteggio: 9.812
La gara è conclusa da un po’ e me ne sto a metà tra l’incredulo e il sognante ai piedi del podio.
Al mio fianco Yoneda, il giapponese e Hamm, americano.
Non riesco a credere che di lì a poco sarò chiamato per ricevere la medaglia d'oro, me lo ripeto continuamente in testa, ma ci sono riuscito veramente?
Me ne sto lì con l’alloro sulla testa e la medaglia al collo, i brividi che hanno iniziato a scorrermi addosso durante l’inno.
Neppure me ne accorgo ma la mia mano premuta sul cuore è forte e dura come non mai, ne risulta una postura a spalle larghe, larghissime.
Mi sento un gigante.
Il Re d’Olimpia.
Come tutto sia cambiato dopo quella gara è quasi indescrivibile.
L’attenzione globale, una miriade di persone nuove che volevano incontrarmi, fare una foto o avere un autografo; camminare per strada o essere in macchina e non passare inosservato è stato veramente impattante dentro di me.
Io ero sempre lo stesso e facevo sempre le stesse cose ma, da un giorno all’altro, il mondo intero intorno a me si era capovolto.
La percezione che ha la gente di te e della tua fatica quotidiana cambia all'improvviso; tutti che ti vogliono, il telefono che squilla costantemente, la televisione, la stampa e le interviste.
Al mondo serve una medaglia a volte per capire l’abnegazione e il dolore che stanno dietro una vita così dura da essere quasi monastica.
Nulla di tutto questo avrebbe mai potuto cambiare la persona che sono, ma è impossibile negare che mi abbia affascinato tantissimo questa nuova prospettiva perché la riconoscenza delle persone mi ha dato molto di più di quanto le fatiche e le rinunce quotidiane potessero mai avermi tolto.
Impagabile vedere negli occhi di un bambino, di un adolescente, di un adulto o di un anziano (è uguale!) il desiderio di conoscermi e di farmi delle domande come se fossi venuto veramente dallo spazio.
Ricordo la prima onorificenza ricevuta, quella di Commendatore della Repubblica riconosciutami da Ciampi insieme a tutti gli altri medagliati di Atene, al ritorno dalla spedizione.
Un gruppo di uomini e donne muscolosi, atletici, ossessionati dai numeri e dagli allenamenti, che hanno donato la loro adolescenza e anche la loro infanzia al proprio sport.
Tutti insieme, ubriachi di gioia nelle polverose e ingessate stanze della politica italiana.
La Repubblica ringraziava noi.
Indescrivibile.
Come sostiene lo zio di spiderman: da grandi poteri derivano grandi responsabilità e questa medaglia, con la sua visibilità mi ha permesso a fare di più per gli altri.
Sono sono diventato testimonial AVIS e ADMO in maniera attiva e mi sono speso nel tentativo di essere di aiuto a chi soffre costantemente.
Io ringrazio quotidianamente quel bellissimo risultato di Atene che mi ha fatto scoprire quanto bisogna essere grati alla vita e a ciò che ci dona, grati a chi ti ha sostenuto ed aiutato a raggiungere i tuoi obiettivi.
Grato infine a chi ti invita ad essere un buon esempio.
A 27 anni ho realizzato un sogno cullato nei precedenti 26, ma in verità io lo sto ancora vivendo: nelle scuole, negli oratori, nel cuore di chi parla con me di sport e di vita.