Tu sei un essere meraviglioso.
E puoi fare tutto quello che desideri.
Ma sciogliermi nel suo sorriso è ciò che desidero, è ciò che faccio.
È lei ad essere l'essere meraviglioso.
Quando me lo ripete però, quando lo dice a me, si spostano le nubi e si spengono i crampi, che mi mordono le cosce ed i polpacci.
L'aria si riempie di un profumo preciso.
È un profumo forte, intenso, questo sì, ma perfettamente riconoscibile, impossibile da confondere.
Avevo 12 anni e già correvo da un po', lo facevo come lo facevano in tanti all'epoca, per lo più a scuola.
Mi ricordo le corse campestri, i lunghi percorsi tra i boschi e nel fango.
Mi ricordo il freddo tagliente, perché, in fondo, a scuola d'estate mica si va.
Inverno, dunque, la sensazione di un vento secco e gelido che ti fa tremare le ossa ogni volta che appoggi un piede a terra.
Mia madre non mancava mai, mi spalmava pazientemente l'olio canforato sulle gambe per provare a difendermi da quelle temperature rigide.
Ha un profumo, l'olio canforato, che chi è giovane non può conoscere, perché quasi non si usa più.
Erano gli anni in cui si correva con i guanti ed il gilet di lana e quel propellente liquido sulle gambe le scaldava, le ustionava, quasi le accendeva.
Sarebbe bastato un fiammifero.
Se penso a mia madre ricordo quell'odore.
Tanto forte quanto evocativo, mi riporta direttamente lì, a quel momento.
In senso fisico, puro e semplice volo a ritroso, mi riporta lì.
E lì mi lascia.
Il volto ed il sorriso di lei, nei miei ricordi, hanno sempre avuto quei contorni, quei confini chiari, pungenti che, disegnati da un profumo, me l'hanno sempre fatta sentire al mio fianco.
Anche quando non c'era.
Anche quando non giravo lo sguardo per cercarla.
Anche quando non avevo tempo da dedicare a lei.
Poi, un giorno, l'aria impregnata d'olio canforato s'è spenta, portandosi via anche lo stanco incedere del suo respiro.
Come se con l'ultima inspirazione avesse deciso di inalare tutto il proprio profumo e tenerselo dentro.
Come se lo volesse racchiudere, contenere, nascondere a chi restava.
Come se volesse chiudere gli occhi e riposare sentendo per sempre il proprio odore, che tanto significava per me.
E, sparito quello, io la guardavo, che già aveva iniziato a mancarmi, e non sentivo più nella stanza la fragranza che l'aveva sempre accompagnata in vita.
Sentivo solo il puzzo nauseante del disinfettante.
Nessuno è pronto, mai, a sentire un odore tanto forte, tanto rivoltante ed allo stesso tempo anonimo come un disinfettante industriale, prendere possesso dell'ombra di una persona amata, sostituendosi al profumo della sua pelle.
Il profumo della pelle e dei ricordi.
Quello naturale, di profumo, non quello che si vende in flaconcini costosi.
Quello che resta abbracciato nella stoffa della maglia con cui dormi, non quello che svanisce poco a poco quando stai all'aria aperta.
Ho corso tutta la vita.
Ho corso nei campi, ho corso in città, sulla pista e nei boschi.
Ho corso sull'asfalto nel fango e sul pavè.
Ho corso all'alba ed al tramonto.
Ogni cosa, tra queste, ha un proprio odore.
E sono affezionata ad ognuno di questi.
Potrei riprodurre, con le matite colorate, il terreno sopra il quale sto correndo, anche se lo stessi facendo bendata.
Ogni fango ha un odore proprio, ed anche un sapore proprio, che se ha piovuto è normale che qualche schizzo ti arriverà fino alla bocca.
Ogni terreno, con la sua polvere, che se piove è la sua melma, ti può riempire le narici.
Il soffocante odore di chiuso e il pizzicore che gli aghi di pino caduti emanano quando li schiacci sotto le scarpe, si mescolano quando corri in un bosco molto fitto e ti sanno riempire il naso al punto da farti girare la testa.
Corri più veloce che lo senti di meno.
La sabbia arida e dura invece, quella presa a martellate dal sole, che ci si abbatte sopra come un rullo di quelli che si usano per fare le colate di cemento, quella invece è secca, polverosa, odora di caldo.
Ha l'odore del sole.
Ha lo stesso odore della pelle bruciata, come quando hai corso e poi atteso che il sole ti asciugasse il corpo, lasciandoti addosso una fine patina salina che sa anche un po' di mare.
Quella sabbia, arida e dura, odora così.
Il sole, il sole che scalda e poi asciuga.
Il sole che brucia, che brucia l'erba.
L'erba appena tagliata sa d'amaro, ha un profumo capace di incollarsi sul palato e nulla lo riesce a scollare da là, neppure una coca cola ghiacciata.
Neppure due coca cole ghiacciate.
Niente.
Ti prende il naso, ti blocca il collo e le tempie.
Se corri, o cammini, o passeggi in mezzo all'erba appena tagliata non esiste verità all'infuori di quell'odore.
Almeno in principio.
Non esistono uccelli che sanno volare abbastanza bene da distrarti o grilli il cui frinire forte possa allarmare la tua mente.
All'inizio senti solo quell'odore.
E basta.
Poi il sole brucia l'erba e diventa fieno, che sa di polvere.
Il fieno profuma di mobili vecchi, profuma come una falegnameria al lavoro.
Trucioli, segatura.
Il fieno punge.
Sia le mani a toccarlo, che il naso ad odorarlo.
E se non c'è il sole e piove tanto meglio.
Se non c'è il sole e l'erba non può diventare fieno e resta erba, meglio ancora, che l'odore della pioggia mi apre vasetti antichi.
Vasetti antichi come le conserve, come le marmellate che si facevano una volta e s'aprivano d'inverno: muori dalla voglia di mangiarla, di svuotarlo tutto, ma vederlo lì sopra lo scaffale, con l'etichetta scritta a mano e pieno di cose dai colori pastello ti piaceva forse di più.
Quando pioveva all'imbrunire mia madre si velava di una leggera malinconia.
Mai vista arrabbiata in tutta la sua vita, ma malinconica quello sì, e se pioveva allora ci prendeva per mano e ci trascinava fuori a correre e giocare sotto l'acqua.
La pioggia con il suo odore inconfondibile che un po' scende dal cielo e un po' risale da terra perché lì le gocce, cadendo, hanno smosso cose, hanno inondato mondi e annegato intere piccole città.
È bello correre sotto la pioggia.
È bello perché è sbagliato, perché non andrebbe fatto.
Non uscire che ti sporchi.
Non correre se piove che ti ammali.
Ma se puoi, oh se ha detto che puoi, allora le regole sono finite, non ce ne sono più.
L'impero del male è sconfitto, l'ordine prestabilito delle cose infranto e nelle pozzanghere ci puoi saltare e fare gli schizzi.
Ti rotoli nell'acqua, te la fai cascare in faccia standotene a bocca aperta con il naso all'insù, che è talmente all'insù da essere quasi all'indietro.
E di quell'odore puoi farti una scorpacciata.
Ci sono odori che sono un miscuglio di odori e a seconda del lato da dove tira il vento uno predomina sull'altro.
E sono odori questi, che il cervello può dividere, dissezionare e scorporare.
Pezzetto su pezzetto creano un mosaico preciso.
Se è troppo vicino ti smarrisci e non puoi farci nulla, se invece fai un passo indietro, o anche due, o anche tre, allora lo vedi nell'insieme.
Alcool.
Sporco.
Pelle animale.
I miei aggressori puzzavano così.
Il loro muoversi intorno a me creava un turbine di odore intenso dove alcool, sporco e pelle animale si mescolavano, travolgendomi la testa.
Mandando in tilt il mio cervello.
Paralizzandomi.
Non era un odore eccessivamente sgradevole, ma era così penetrante da non poterlo fermare neppure coprendomi il naso con le mani.
Con tutte e due le mani.
Restava e resta semplicemente lì.
Con mio, profondo, dolore.
Resta lì, intenso, al punto che non riesco a dimenticarmi neppure una delle parti che componevano quell'insieme: alcool, sporco e pelle animale.
Poi però, e di questo sono grata al punto tale di non sapere come dimostrarlo, esistono anche odori senza nome, senza descrizione.
Esistono profumi che per quanto tu ti possa sforzare, per quanto tu possa padroneggiare il vocabolario o conoscere le tue narici, per quanto tu possa essere un segugio, o un sommelier, esistono profumi senza contorni.
Senza contorni ma con un volto.
Profumi che non puoi ricondurre a qualcosa di universale per spiegarli, non un frutto, non un fiore, nulla.
E non puoi perché non sono neppure loro universali.
Sono i profumi delle persone, sono i profumi dei miei figli.
Unici.
Inconfondibili.
Potrei riuscire a descriverli soltanto disegnando perfettamente i contorni dei loro visi.
Questo- direi -questo è di cosa sa questo profumo
A loro il mio, nelle narici finché non lo risucchierò dentro anche io.
A me invece il loro, nelle narici per sempre.
A noi tutti insieme, ovviamente, l'odore della pioggia all'imbrunire.