Kelly Sildaru

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Non so che cosa mi riserverà il futuro, ma vorrei che almeno mi rendesse felice.

Più felice.

Perché fino ad oggi non lo sono stata abbastanza.

E soltanto adesso inizio a comprenderlo davvero.

Oggi che la mia libertà è totale, oggi che posso andare dove voglio, so che non sono stata felice abbastanza.

Lo sport professionistico è difficile da godere, ci sono troppe componenti che incidono sul tuo stato d’animo. Troppe cose che non puoi controllare.
Troppe cose che vengono imposte e progettate dall’alto, che dipendono dalla sua stessa struttura, dalla sua forma.

Troppi viaggi.

Troppa pressione.

Troppe interviste.

Tutto è sempre importantissimo eppure niente lo è quanto la prossima gara.

Il passato scompare, non conta niente, e il futuro macina i giorni che vivi come se fossero chicchi di grano.

Vanno ad impastare un banchetto infinito, in cui non sei un’ospite, ma uno dei cuochi.

È come una giostra sempre in movimento, e la cosa più difficile in assoluto, a volte, è capire di avere la libertà di scendere. Perché nessuno è lì per ricordartelo.

Mi è capitato spesso di sentirmi sul punto di lasciare tutto, di scappare e di cambiare vita, ma non ho mai sentito di avere il pieno diritto di farlo.

Kelly Sildaru

Non so perché ho iniziato a sciare.

Non so perché ho scelto il freestyle.

Non sono neppure certa che mi sia mai stato chiesto cosa ne pensassi.

Mio padre era un freeestyler e tanto è bastato a farlo scegliere per me e per mio fratello. Ho iniziato con lui, e con lui ho proseguito, senza fare domande, neppure quelle che avevo in testa.

Almeno fino al giorno in cui le domande sono sparite tutte.

E io con loro.

Perché finalmente avevo solo risposte.

Tutto sembrava normale, all’inizio.

Non perché lo fosse, ma perché non conoscevo altro.

Il freestyle era la mia vita, e la mia vita era il freestyle.

Semplice come un’addizione.

Evidente come una verità.

Era soltanto una cosa che ero solita fare. Tutti i giorni. A ogni ora del giorno. Sotto l’occhio vigile di mio padre, che era anche il mio allenatore.

Kelly Sildaru

Poi mi sono innamorata del freestyle.

Certo.

E chi potrebbe non farlo?

Con quella sensazione di leggerezza che ti senti addosso quando salti verso il cielo e rovesci il Mondo. Con quel brivido che provi quando senti lo sci staccare dalla rampa e all’improvviso senti solo il vento.

E il vento sei tu, che ti muovi senza peso.

È bellissimo, e l’istante in cui lo vivo è sempre stato bellissimo anche per me.

Però, è sempre stato anche un lavoro.

Un progetto.

Un’idea di grandezza altrui, spacchettata perché io la rendessi reale.

Ero una bambina timida, molto dolce e indipendente, ma non sono mai riuscita a discutere di qualcosa con mio padre senza che lui finisse il confronto gridando.

Dominando la scena.
Facendomi sentire piccola.

Non sono mai stata sola, perché avevo pur sempre mia mamma, e ce l’ho ancora, ma quella presenza era imponente, pesante.

Sempre in controllo della mia vita.

Ricordo la prima vittoria agli X Games.

Avevo 13 anni.

Negli allenamenti precedenti facevo fatica a raggiungere la velocità necessaria per fare salti abbastanza ampi, e questo mi rendeva nervosa.

Il giorno della gara nevicava e i miei dubbi continuavano a crescere.
Ero quasi certa che non sarei riuscita a fare granché.

Poi, in competizione, tutto sparì.

Feci tutto quello che avevo immaginato di fare.

E vinsi.

Era così importante per me.

Un momento speciale.

Un momento che ancora oggi non saprei dire se è stato davvero tutto mio, oppure no.

Kelly Sildaru

Ho sempre fatto quello che papà mi diceva di fare, quando mi diceva di farlo, e come mi diceva di farlo, incapace o forse privata di un’opinione, di una volontà.

Il momento più difficile sono state le Olimpiadi del 2018.

Mi sarei presentata al via da favorita, ma mi ruppi il ginocchio e dovetti rinunciare.

Quello dei Giochi era il suo grande sogno.

E il fatto che avessi fallito fece collassare tutto il suo Mondo.

Da quel giorno in avanti diventò sempre più duro, sempre più maniaco del controllo, e la pesantezza dei suoi modi arrivò anche dentro casa.

Era mentalmente e fisicamente aggressivo verso di me e verso mia madre, e io, che avevo ormai 15 anni, iniziavo a comprendere il valore e il significato dei suoi gesti.

Nell’agosto del 2019 organizzammo due mesi di allenamento in Nuova Zelanda, e alla partenza ero talmente esausta e impaurita di andare laggiù con lui, che promisi a me stessa che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio con lui.

Se mi avesse trattato male me ne sarei andata.

Dopo una settimana scappai.

Anche questa, forse, non fu una scelta libera, ma la conseguenza di quello che avevo vissuto.

Mi sono messa su un aereo, sono tornata a casa e sono andata a vivere con il mio fidanzato, che da quel giorno ha iniziato anche ad allenarmi.

E che non mi ha mai lasciata sola.

Kelly Sildaru

Da allora non parlo con mio padre, se non tramite avvocati.

Non parlo neppure con mio fratello, anche se mi manca, perché lui è rimasto con papà.

Anche se oggi mi sento più libera di quanto lo sia mai stata prima, ci sono comunque giorni duri, in cui tutto mi sembra complicato e in cui metto in discussione qualsiasi cosa del mio passato.

Le conseguenze di quello che ho vissuto non mi lasceranno mai, e avranno per sempre un’influenza sulla mia vita.

Continuo a sciare, e continua a piacermi, anche se non sempre riesco a decifrare le mie emozioni.

Ho appena ventanni e ho già fatto così tante cose.

Sentito così tanta pressione.

Dimenticato il divertimento.

E vorrei ritrovarlo.

Vorrei che questo fosse il tempo per me, quello in cui mi innamoro ancora del mio sport, del vento e della competizione.

Vorrei fermare tutto e ricominciare da capo, in modo diverso.

Ma visto che non è possibile, mi accontenterei di essere Kelly e di essere felice.

Con gli sci in mano oppure sopra di essi.

Kelly Sildaru / Contributor

Kelly Sildaru