Vincere è la cosa più bella del mondo. A volte però, nonostante tu sia sul tetto del mondo e hai corso una bella stagione, vincendo il quarto mondiale, hai bisogno di nuove motivazioni. Di cambiare qualcosa per avere nuovi stimoli e cercare di rimanere sempre lì, in alto.
Per questo a fine 2015 di comune accordo con il team e la mia famiglia abbiamo deciso di passare alla Honda. È stata dura: più del previsto. Una moto completamente diversa dalla Yamaha e con la quale non sono mai riuscita a ottenere il feeling necessario a stare costantemente davanti. Siamo partiti tardi con gli allenamenti: ho potuto usare la Honda solo a metà gennaio e dopo un mese partiva il mondiale. Un inizio in salita per le tempistiche. A queste si sono aggiunte altre difficoltà, prima fra tutte che non riuscivo a fare mia quella moto. Poi è partita la stagione.
È iniziato il mondiale e siamo partiti dal Qatar, pista che non mi è mai piaciuta più di tanto, e lì abbiamo capito che avevamo un bel gap da colmare. Non è andata bene la prima gara. Però come sempre speri che sia stata colpa della pista, dei pochi test effettuati. Invece con la seconda gara, guardi in faccia la realtà: per nulla positivo nemmeno il secondo round.
Frustrante rincorrere le avversarie. Difficile da digerire: non riuscivo a tenere il passo.
Pochi mesi prima ero lì davanti e nonostante qualche episodio che mi aveva rallentato, avevo il pallino del gioco in mano. Invece nel 2016 ero dietro di loro e non riuscivo a prenderle. Non riuscivo a esprimere me stessa nonostante il team avesse fatto un ottimo lavoro in inverno. Ma per qualche motivo non guidavo: non mi venivano le cose facili come con la Yamaha.
Con il passare delle gare la situazione non cambia. Inizio a dubitare di me stessa, delle mie possibilità. Ti alleni, provi a sviluppare nuove cose, lavori con il team: le tenti tutte per arrivare dov’eri l’anno prima. Invece nonostante dai il massimo di te, vai oltre il 100%, i risultati non arrivano. E in quel momento i dubbi affiorano, diventi fragile. La vita da pilota si azzera. Vai alle gare con uno spirito diverso, anche se pensi di essere al massimo. C’è qualcosa che non va. E così ti cacci in un tunnel infinito. Dai il massimo, ti senti in forma, ma quando sei in moto non sei te stessa. Fai la pole position e dici: cazzo il gas glielo do. Domani sarà la volta buona. Invece in gara arranchi. Le avversarie fuggono, sembrano di un altro pianeta. A loro viene tutto facile mentre tu lotti con la tua moto e retrocedi.
Nel momento massimo di scazzo, vedi la luce in fondo al tunnel: il Gran Premio d’Italia a Mantova. Vinco, mi va anche bene, ci vuole ogni tanto un po’ di fortuna. Conquisto il Gp. Sono contenta. Mi sento al massimo. Ma so che comunque non potrò puntare al titolo, ma mi rassereno pensando che forse abbiamo trovato il bandolo della matassa. Godo il momento davanti ai miei tifosi, con i miei amici e sponsor. Bello vincere in Italia, a casa.
Mantova però rimane solo una parentesi positiva in un mondiale difficile.
Dopo l’Italia ritorna la routine delle gare precedenti. I risultati non arrivano. Mi sento depressa. Così un giorno per vedere se sono veramente io, mio padre mi porta a girare, per le solite sessioni di allenamento in moto.
A un certo punto fa scendere dal camion la mia vecchia Yamaha. Ci salgo e dopo un giro mi metto a piangere. Un pianto liberatorio: ho ritrovato tutti i miei meccanismi. Fantastico. Giro come se non fossi mai scesa dalla mia vecchia 250. È una goduria. Capisco che vado ancora forte: non mi sono dimenticata di come si guidi al massimo. La lezione di giornata Mi serve per riprendere forza.
Dopo quel breve test ci concentriamo concentrati sulle ultime gare. Obiettivo terzo posto nel campionato. È alla portata. Sono motivata a finire nel miglior modo e so già che saranno le ultime apparizioni con la Honda.
Ad Assen l’ultima del mondiale: pioggia ininterrotta per tre giorni, fondo impossibile. Diventa una via crucis. La moto scivola da ogni parte, faccio fatica. Mi ritrovo intruppata in partenza e poi alla fine entro in una buca colma di fango e acqua. Mi fermo lì: sono bloccata, impantanata. La stagione si chiude così. Rabbia, delusione e beffata: perdo anche il terzo posto, finisco quarta. Uno schifo!
Però sempre meglio finire quarto che perdere il mondiale per un punto.
IL RITORNO IN YAMAHA E LA RINASCITA
Dura da digerire la stagione 2016. Sei abbacchiata, demoralizzata. La gente ti giudica, a volte con commenti cattivi e non costruttivi, e fai finta di nulla. Dentro di te sale però lo spirito di rivalsa, la voglia di dimostrare che un anno sottotono ci può stare.
Nel frattempo io e Yamaha ufficializziamo che torneremo a correre insieme. Sono felice per aver trovato l’accordo. Ritorno sulla mia YZ.
Sento il calore dello staff dirigenziale. Belle sensazioni che si mischiano alla voglia di tornare al più presto al vertice.
Il primo test è fantastico. Io e il team al completo andiamo a provare. Vado forte. Sono di nuovo Kiara. La sessione di prove è commovente. Al mio meccanico storico, Silvio, scendono le lacrime. Emozioni, stress di una stagione che scende. Iniziamo a lavorare consci delle nostre possibilità.
Quando guido mi sento a casa. Va tutto bene. Mi alleno, sono determinata.
Inizia la stagione. Andiamo in Indonesia. La pista sembra un fiume in piena. Il fango ancora una volta è galeotto. Le altre vanno e io sprofondo. Mi sale la rabbia. Torna a farsi sentire la frustrazione in una gara dove raccolgo le briciole. Finisco quinta assoluta grazie a una buona seconda manche, seconda, dopo una prima da dimenticare.
Si torna a casa e si va a correre il Gp del Trentino. La pista di Arco mi è sempre piaciuta e ho sempre vinto. Voglio vincere ancora. Ci riesco. Conquisto la prima manche e chiudo alla piazza d’onore la seconda. Metto alle spalle le avversarie di sempre. Duncan, Lancelot e Van De Ven.
È la mia riscossa. Dopo un anno torno a vincere. Non ci riuscivo da Mantova. Nel mondiale recupero punti. L’altalena però continua a oscillare. In Francia sono terza, rallentata da un paio di episodi sfortunati, tra cui un contatto con una doppiata, e così prosegue a Loket. In Repubblica Ceca ho vinto gli ultimi mondiali. Questa volta non va. In prima manche sono davanti, ma si rompe il silenziatore e finisco seconda. Nella manche finale mi tocco con la Lancelot mentre lottiamo per il podio. Mi rialzo e chiudo sesta.
Torno a casa delusa e incazzata. Mancano due gare. In Olanda ancora la sfiga fa capolino. Sono quarta. Ci andiamo a giocare tutto in Francia nell’ultimo round. Un finale tosto. Siamo in quattro in cinque punti.
Sale la tensione. La pressione non manca per un finale da thriller. Io mi alleno senza pensare al mondiale. Le giornate passano bene. In moto va alla grande e sono in forma fisicamente. So che se guiderò come so fare potrò vincere. Sono sicura di me.
La prima manche è surreale. La pista è asciutta, imposto il mio ritmo e scappo. Guido sciolta, va tutto bene. Poi a un certo punto inizia a piovere, mi irrigidisco ma sono in testa. Poco dopo esplode il mondo. Inizia a grandinare. Prendo le botte dal cielo e cedo il passo. Mi dico: stai calma. Mi passano la Duncan e la Lancelot. Ma sul salitone di metà percorso scivolano entrambe per schivare un groviglio di moto. Salgo sulla collina con la moto che non vuole rimanere dritta. Ci riesco. Allargo la traiettoria e passo. Vinco la prima manche. Il mondiale è aperto. Sono a due punti dalla Van De Ven e sono seconda. Si deciderà tutto nella manche di chiusura della domenica.
Prima però non mancano le polemiche. La Van De Ven fa reclamo. Secondo lei ho tagliato la pista. Andiamo avanti e indietro dalla direzione gara. Cambiano le classifiche due volte. Poi alle 19.40 di sabato viene confermato l’ordine di arrivo. La tensione sale, ma riusciamo ad avere ragione.
Nonostante sia arrabbiata nera, mi sento tranquilla. Possiamo tentarla e farcela.
Domenica mattina la pista è un mare di fango. Già nel giro di ricognizione è difficile stare in piedi. In quelle condizioni penso soltanto a voler finire la gara: non ci sono mai riuscita in quelle condizioni.
Le altre vanno avanti. Duncan è velocissima, così come Van De Ven e Lancelot. Io risalgo le posizioni senza prendere rischi. Le altre si eliminano. Io sto bene, sono in forma e non sento la stanchezza. Il mondiale sembra andarsene, ma la gara è lunga…la più lunga della mia carriera. All’ultimo giro ancora sulla salita ci sono diverse moto in terra, riesco a passare e arrivo al traguardo. Finisco terza. Va bene così. Non avevo mai finito una gara nel fango.
Sono lì che mi tolgo gli occhiali e arriva Eddy Seel della Dunlop e mi dice che sono campionessa del mondo. Non ci credo. Lui mi conferma la notizia. La Van De Ven è caduta sulla salita. Non l’ho vista. Ero troppo concentrata a superare l’ostacolo, il salto.
Vinco il mondiale per un punto sulla Lancelot. Piango di felicità e incredulità. Mi lancio in terra come fossi in piscina. Urlo. Poi arriva Scott ad abbracciarmi e tutto il team. Campionessa del mondo per la quinta volta. Non ci credo. Fantastico. Tante emozioni si scontrano tra loro. Il mondiale più duro è mio. Sono ritornata! Dalle ceneri del 2016 si è costruita la stagione 2017: le difficoltà non sono mancate. Però ce l’ho fatta, ho vinto.
Mai mollare e rinunciare a sogni e obiettivi. Anche quando tutto sembra andare a rotoli. Ho corso un’ultima manche lucida nonostante la posta in palio. Il mio mondiale, una lezione di vita e maturità.