marco confortola

Marco Confortola

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Nel  2014 stavo risalendo gli 8450 metri del  Kanchenjunga, al confine tra il Nepal e il Sikkim; una salita tecnica, dura, difficile.
Ho dovuto rinunciare alla cima proprio quando mi trovavo a soli 100 metri dal confine del cielo, un niente se paragonato al viaggio intero.
I miei passi, la mia andatura e i miei appoggi erano cambiati; un pezzo di osso aveva perforato il mio piede sinistro, ed era impossibile continuare a salire.
6 anni prima infatti mi erano state amputate tutte le dita dei piedi, conseguenza di un terribile congelamento ed io sono stato costretto a re-inventare me stesso e il modo di affrontare i colossi rocciosi sparsi sul Pianeta.
Rientrato in Italia mi sono sottoposto ad una seconda operazione chirurgica e una trentina di sedute in camera iperbarica per eliminare il problema.
Ma non sono certo queste le cose che possono piegare l’anima di un alpinista.
Né ora né mai.


Marco Confortola

Vivere, soffrire, gioire in un mondo come la Montagna che sa essere tanto affascinante quanto drammatico e spietato.
Lo sguardo vola in alto, in altissima quota, dove tutto è tremendamente delicato; in equilibrio tra la vita e la morte.
La morte nostra compagna in ogni avventura ci tiene in scacco ogni secondo, ogni minuto, ogni ora.
Vivere, sopravvivere, resistere è questo il nostro mantra per godere di grandi risultati ottenuti in condizioni al limite della sopravvivenza.
Nelle grandi salite dei colossi Himalaiani, salendo oltre gli ottomila metri, per la carenza d'ossigeno ci si arrampica in un mondo quasi visionario, dove il tempo sembra essere rallentato.
Gli sguardi lassù sono pieni d'emozione, di felicità, di stanchezza e piangere è un atto dovuto perché sorridere mentre lacrimi di felicità è un Inno alla vita.
Nelle lunghe notti in alta quota in una piccola tendina arroccata su una cresta tanto stretta e vertiginosa la notte è un insieme di sonno-sogno-visione causato dalla mancanza d'ossigeno che ti porta a un dormiveglia dove i pensieri sono profondi, silenziosi e unici.
Nel mio mondo d'alpinista Himalaista ci sono delle parole che ricorrono come una litania: resilienza, comunicazione, fiducia, team.
Concetti che si sublimano nella carriera dell’alpinista ma che dovrebbero essere pilastri della vita di tutti e giorni, concetti sui quali ho molto da raccontare durante le mie conferenze pubbliche e aziendali.


Marco Confortola

Senza queste fondamenta forti non avrei potuto reagire alle difficoltà di questa vita.
Il primo agosto 2008 dopo aver salito il K2 senza riserve d’ossigeno, dopo aver bivaccato a 8400m senza materiale, senza cibo e senza tenda ho subito un grave congelamento al quale è seguita la necessaria amputazione di tutte e 10 le dita dei piedi.


È un modo questo di vivere la montagna che nel tempo diventa uno stile di vita, dove il rigore e lo stare dentro le regole è fondamentale per il raggiungimento dell'obiettivo. Di qualunque obiettivo.

Sorridere alla vita e vedere sempre il bicchiere mezzo pieno sono le basi del mio credo e i sorrisi delle persone che incontro in giro per il mondo sono doni che la vita ci regala.

Marco Confortola

Dopo l'amputazione del 2008 non è stato semplice per me ricominciare a scalare ma nel 2012, in autunno, ho raggiunto la cima del mio settimo ottomila: il Manaslu.

Nel 2013, il 21 Maggio, ho raggiungo la vetta del Lhotse, la quarta montagna più alta della Terra con i suoi 8.516 metri; poi, sul Kanchenjunga il nuovo stop.

Il tempo di recupero è stato abbastanza veloce e infatti nel 2015 ho cercato di conquistare il Dhaulagiri, ma la spedizione è stata interrotta a causa del terribile terremoto che ha sconvolto tutto il Nepal causando quasi 9.000 vittime.
Una spedizione che per ovvie ragioni non sono riuscito a lasciarmi completamente alle spalle.
Il dolore di una popolazione duramente colpita, un grido d’aiuto che si è alzato forte, sfruttando la eco di quelle gigantesche valli rocciose che ogni alpinista conosce e sogna.

Marco Confortola

Infatti, nonostante il 23 maggio del 2016 abbia raggiunto con il mio compagno Marco Camandona la vetta del Makalu, 8.463 metri di imponenza che giacciono sul confine tra Nepal e Tibet, una ventina di chilometri a est del Monte Everest, nel mio cuore restava accesa come una fiamma ardente la voglia di domare il Dhaulagiri, la più alta cima al mondo situata in una sola nazione, proprio quel Nepal tanto ferito.
La voglia di completare ciò che un disastro naturale terribile aveva impedito 2 anni prima.

Marco Confortola
Marco Confortola

Il 20 Maggio di quest’anno sono riuscito a conquistare questo colosso, il mio decimo colosso Himalayano.
10 volte 8000 metri.

Il Dhaulagiri è stato scoperto nel 1808 ed è stato considerato a lungo come il monte più alto del mondo, fino alla scoperta del Kanchenjunga, 30 anni più tardi.

Neanche il tempo di godere della nostra impresa che soli 3 giorni più tardi, aiutato da alcuni validissimi piloti italiani, ho raggiunto e soccorso 7 persone, rischiando la vita per farlo, agganciato al baricentro dell’elicottero, appeso sopra una maestosa catena montuosa 35 chilometri a ovest dell’Annapurna, appena oltre la valle Kali Gandaki.
La montagna non conosce pause e riposi, è sempre in agguato.

Comunque per me questa vetta è stata la chiusura perfetta di un cerchio rimasto incompleto: due anni prima le scosse, terribili e numerose che avevano devastato la popolazione e frenato la mia ascesa.
Ora invece, a vetta raggiunta, ecco nascere in me il desiderio spontaneo di non limitarmi a questo, ma anche di offrire un aiuto concreto alla popolazione che un tributo tanto grande aveva pagato alla Natura.


Il mio impegno è stato continuo in questi due anni, dai giorni immediatamente seguenti la catastrofe fino all'inaugurazione, avvenuta a metà marzo, di una scuola: la Sunkoshi Boarding School di Sindhupalchowk, tre ore a nord di Katmandu.

Un risultato reale, tangibile, frutto dei sacrifici di un gruppo coeso che ha fortemente creduto in questo progetto e nella creazione di una base solida per questi giovani studenti da cui potessero ripartire.

Tutto questo è stato possibile grazie all’incessante lavoro e alle raccolte fondi promosse a diverse latitudini da una serie di associazioni impegnate nel sociale.

Marco Confortola
Marco Confortola
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Allenarsi per il futuro: progetto del quale sono alfiere da 4 anni e nel quale la metafora dello sport e dei suoi valori cardine, quali passione, impegno, responsabilità e costanza trasmette agli studenti l'importanza di compiere scelte professionali compatibili con le proprie attitudini, allenando il proprio talento naturale senza mai dimenticare l’importanza dell’impegno nel sociale come palestra della vita, impegno che la realizzazione di questa scuola dimostra ampiamente.

Realizzazione che ha visto tra i protagonisti più attivi anche l’Associazione 17 e l’Associazione Finale for Nepal e che è stata possibile grazie alla raccolta fondi dei collaboratori Bosch, una raccolta che ha reso questa visione una realtà.

Con l’aiuto di tutti abbiamo fatto un grande passo nel lungo cammino del ritorno alla normalità per questo popolo e questa non può che essere considerata una delle vette più alte ed impervie che io sia mai riuscito a scalare.

Il mio personale pensiero che rivolgo ai giovani è quello di mai mollare, credere nei propri sogni perché sognare non dev'essere solo un piacere ma un dovere.

Marco Confortola

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