Marco Di Costanzo

Marco Di Costanzo

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Quando cresci in certi quartieri non sempre chi vive al tuo fianco vuole per forza il tuo bene. Non sempre le scelte degli altri non hanno ripercussioni sulla vita che vorresti fare tu. Ci sono ambienti nei quali cresci con gli occhi aperti fin da subito; dove impari a pesare le parole e a valutare gli sguardi degli altri bambini, senza poter avere l’innocenza di credere a tutti e a tutto, come si fa da piccoli.

 

Nei Quartieri Spagnoli, soprattutto una volta, il futuro aveva contorni sfuocati e poteva farsi complicato quando era ancora soltanto il presente.

Sembra strano da dire, forse anche difficile da credere, ma a nove, dieci anni, sai già di essere davanti ad un bivio. Non ne capisci magari la portata, o non ne cogli tutte le conseguenze, ma è chiaro a tutti che: o prendi in mano i libri (o un pallone), o finisce che in mano ti arriva qualcos’altro.

 

Io, fortunatamente, ero circondato dalle persone giuste e, in mano, ho deciso di prendere il pallone.

 

Non che abbia pensato che potesse diventare la mia vita, ma lo vedevo come una cosa pulita da fare, qualcosa che mi permetteva di uscire da un giro di abitudini e persone che se non stai attento ti risucchia, facendoti diventare qualcuno che non ti piace, quando poi diventi adulto.

 

Potrà essere banale da dire, magari retorico, ma scegliendo lo sport, anche da bambino, decidi quali saranno i tuoi esempi per la vita, a prescindere dal livello che sarai capace di raggiungere. 

Sai che che uscirai bene comunque perché hai scelto la fatica

E la fatica è la strada giusta.

Ao, e mo basta! Adesso vieni qui!

Marco Di Costanzo

L’allenatore di mio fratello era stufo di vedermi seduto mentre gli altri sudavano sette camicie. A me piaceva il calcio, come alla maggior parte dei bambini, ma avevo anche un amore sconfinato per mio fratello Fabio, che da buon maggiore mi sopportava e portava ovunque andasse.

Lui era alla ricerca di un’attività che lo aiutasse a dimagrire e dopo aver fatto qualche tentativo qua e là, la sua scelta era ricaduta sul canottaggio.

Avevo nove anni e non sapevo neppure cosa fosse il canottaggio, neppure mi interessava in realtà. Ma il desiderio di stargli appresso e rompergli le scatole era troppo, troppo grosso.

 

Al circolo Canottieri Napoli l’età minima per iniziare era dieci anni per cui io mi sedevo quatto-quatto con il mio pallone in braccio e guardavo Fabio mentre si allenava. Stavo aspettando il mio turno, perché alla fine di ogni seduta, lui e i suoi compagni giocavano a calcetto e io potevo finalmente fare la cosa che mi piaceva di più, fianco a fianco con il mio fratellone.

I giorni passavano e io regolarmente: prima li guardavo e poi mi facevo la partitella con loro.

 

Finché un giorno:

Ao, e mo basta! Adesso vieni qui!

Il tono non ammetteva repliche e l’allenatore di Fabio, infrangendo la regola dell’età, mi mise su un’imbarcazione: 

rema!

In venti minuti mi sarò fermato cento volte, perché riuscire governarla e farla andare dritta è una delle cose più difficili del Mondo.

 

Difficile da spiegare a parole, servirebbe sedersi dentro per capirlo bene.

Una barca di canottaggio è come una macchina di Formula 1: le combinazioni delle parti che la compongono sono praticamente infinite e la ricerca di un assetto perfetto richiede tantissimo tempo.

Muovendo leggermente la mano più in alto o più in basso sul remo, lei procede storta

E lo stesso vale per ogni altro componente, il poggiapiedi, la seduta, la lunghezza dei remi.

È un lavoro di comprensione e conoscenza reciproca, la forza bruta arriva dopo.

Marco Di Costanzo

Certo, quando guardi una competizione internazionale vedi uomini dal torace di quercia e dalle braccia grosse. Li vedi arrivare stremati per la fatica, con i muscoli provati dallo sforzo, e pensi subito alla potenza che gli serve.

Ma la potenza è un qualcosa che inizi a esprimere soltanto dopo, quando hai  già trovato l’equilibrio giusto e il feeling con i compagni.

 

La grazia prima.

La forza poi.

Al contrario non funziona.

 

L’atleta più forte è quello che quando affonda il remo crea la pressione migliore sulla superficie dell’acqua, che è un elemento capriccioso e che va accarezzato dolcemente. Troppa foga strappa l’acqua e la barca sussulta, avanzando come il discorso di un uomo con il singhiozzo.

 

Io sono uno degli atleti più bassi in circolazione e questo, se possibile, aumenta ancora di più la difficoltà, perché la mia forza deve incastrarsi con quella di uomini più alti e grossi di me, creando un balletto perfetto e ritmato, da realizzare come se fossimo tutti alti e potenti uguale.

 

Non è stato facile completare questo processo e arrivare in alto, perché oltre al sacrificio è servito anche avere consapevolezza. Te lo devi sentire dentro che è quello che vuoi fare per tutta la vita, perché ti dovrai alzare alle 5, dovrai allenarti prima di andare a scuola, e ri-allenarti quando sarai tornato. Dovrai mettere da parte qualche pezzetto della tua vita da adolescente, e di solito sono i pezzetti più divertenti quelli a cui devi rinunciare.

 

Ho visto molti canottieri fortissimi sbattere contro le difficoltà e tirare i remi in barca, perché la cosa più complessa in assoluto è tenere certi ritmi con costanza senza avere nessuna certezza di successo.

Lo fai con la speranza di arrivare in alto, un giorno, e non per tutti una speranza è sufficiente.

Marco Di Costanzo

Io non ho mai dubitato della mia volontà, perché avevo un motivo forte per non mollare il canottaggio. 

Mai. 

In nessuna condizione. 

Io dovevo vincere per i miei genitori.

 

La mia mamma lavora in una piccola azienda di borse e il mio papà fa il cameriere. Sono lavori impegnativi, duri, ma loro hanno sempre trovato il modo di essere presenti al mio fianco, aiutandomi a trovare la strada fin da quando ero piccolo. 

È grazie a questa spinta forte, e al sostegno delle Fiamme Oro che hanno creduto in me, che sono riuscito a farmi largo in questa disciplina, raggiungendo il livello più alto che si possa sognare: le Olimpiadi. Non male per un bambino che voleva solo giocare a calcio con il suo fratellone.

 

Oggi se penso ai cinque cerchi il pensiero va ovviamente avanti, verso Tokyo, perché nel cervello di un’atleta la sola unità di misura valida è: il presente. Siamo in piena preparazione per il Giappone e la certezza che nessuno vorrà regalare un solo centimetro in agosto ci spinge ad andare oltre il limite tutti i giorni.

A differenza dalla mia prima esperienza olimpica so che potrò contare su maggior concentrazione e serenità, perché averne già una alle spalle ti mette al riparo dall’ondata emotiva che un esordio porta con sé.

Marco Di Costanzo

L’avvicinamento all’edizione di Rio 2016 è stata come una montagna russa lunga quasi un mese, che mi ha portato in alto, in basso e poi di nuovo su, con la forza di un cannone. 

Anche per questo, a prescindere dal risultato, mi resterà nel cuore.

 

Io ero un componente del 4 senza, un’imbarcazione che aveva raccolto tanti successi negli anni precedenti e che poteva contare su un gruppo molto affiatato. Con loro avevo fatto tutta la preparazione in vista dei Giochi, e a soli venti giorni dalla partenza per il Brasile, tutto sembrava delineato.

 

Poi, però, il coach mi disse che non avrei fatto più parte di quell’equipaggio, quello con cui avevo preparato per mesi la spedizione olimpica, ma che sarei stato assegnato al 2 senza, in coppia con Giovanni Abagnale.

 

Nel 2 senza l’Italia non prendeva una medaglia da decenni, io e Giovanni potevamo contare sulla bellezza di zero gare insieme ed era per entrambi la prima esperienza olimpica.

È stato come essere chiamato alla lavagna per un’interrogazione, non senza aver studiato, ma senza neppure sapere di che materia era l’insegnante.

Marco Di Costanzo

Io tenevo in camera la valigia pronta, convinto che invece che partire per il Brasile sarei dovuto tornare a casa. Per i primi tre giorni ho trovato delle scuse per non sentire mia mamma al telefono. Lei è il mio confessore e di solito parliamo ogni sera, ma in quel momento lì non avevo il coraggio di  dirle quello che sentivo, perché si trattava di un cambio non da poco.

 

Da Rio siamo tornati con un’incredibile medaglia di bronzo, figlia dell’incoscienza della gioventù. La gioventù, che non conoscendo tante cose, non conosce neppure i propri limiti.

 

L’esplosione che ho sentito dentro era tutto, per me.

Mi sono sentito vulnerabile nel dover cambiare.

E abbiamo portato a casa una medaglia, insieme.

Sul podio, anche dal gradino più basso, mi sentivo indiscutibilmente il più alto di tutti.

 

Ma quando è passato il rush di adrenalina, quando l’emozione si è sciolta entro alla dolcezza della momento, ho potuto assaporare cosa volesse davvero dire quella medaglia per me.

Marco Di Costanzo

Dai Quartieri Spagnoli, io, sono andato via presto, e mi sono trasferito per inseguire i miei sogni. Però ho sempre continuato a ritornarci, tutte le volte che era possibile, perché quella è casa, e nessun posto è come casa.

Ho visto che, nel tempo, la buona volontà dei tanti ha soverchiato l’arroganza dei pochi, trasformando, passo dopo passo, un quartiere difficile in uno dei posti più visitati di Napoli.

 

Oggi nei Quartieri c’è un via vai continuo di turisti, che girano tenendo in mano le mappe aperte, alla ricerca delle vie più belle da guardare e fotografare. 

Oggi sulle strade compaiono le insegne di bed and breakfast nuovi ogni mese, perché le richieste continuano ad aumentare.

 

Appena sono rientrato in Italia dal Brasile ho portato subito la medaglia a casa, per condividerla con la mia gente. È stato incredibile vedere il potere che ha un oggetto tanto piccolo di unire le persone e mi sono riempito d’orgoglio per me e per la mia terra.

Avevo ragione a pensare, da bambino, che quella dello sport fosse una cosa pulita da fare, e quello è stato il momento più bello di tutta la mia carriera.

 

La via principale era stata addobbata tutta di verde, bianco e rosso e c’erano migliaia di persone per strada, come se fossimo allo stadio.

 

Ad un certo punto qualcuno si è affacciato da un balcone e ha gridato: 

ma che abbiamo ricomprato Maradona?

M’è scappato da ridere.

Marco Di Costanzo / Contributor

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