Dentro la gabbia puoi incontrare di tutto.
Per questo devi essere pronto a qualsiasi cosa, centrato al massimo dentro te stesso, concentrato sempre al 100 %, perché ci metti un attimo a finire scottato.
O bruciato.
Ci sono fighter che sono pericolosi quando avanzano, quando ti stanno addosso e ti incalzano.
Ci sono fighter che sono come i serpenti velenosi e sono più pericolosi quando indietreggiano perché sono capaci di contrattaccare in un battito di ciglia, di ribaltare tutto con un sono calcio.
Ci sono gli striker, quelli che combattono il più possibile in piedi.
Quelli che sono fortissimi nelle prese.
E poi ci sono anche quelli che si nascondono e sono quelli che odio più di tutti.
Qui in America dicono:
those who don’t come to fight, but to steal a decision
Sono quelli che non vengono per combattere veramente, per picchiarti e vincere ma per stare sul ring e non perdere, per portarti alla fine del terzo e vedere se ai punti ti riescono a rubare la vittoria.
Sanno che combattendo faccia a faccia rischierebbero troppo.
Nella MMA, e nel circuito UFC in particolare, devi essere sempre in grado di rialzarti subito.
Anzi prima: immediatamente.
© Brandon Magnus - Zuffa LLC
Vitor Miranda il suo gioco lo porta sempre nel borsone e lo butta nella gabbia con cattiveria e rabbia da 20 anni senza soste, è duro come il marmo, non va mai per terra.
Non sarebbe stato un incontro facile, anzi.
Io sono un combattente aggressivo, tengo il ritmo più alto che posso, ti azzanno alla giugulare fin da subito e se riesco a buttarti giù al primo sono più contento.
Sono molto più contento!
Ma non sarebbe andata così e lo sapevo prima. Lui è quel tipo di lottatore che si farebbe ammazzare in piedi piuttosto che andare per terra davanti a tutti.
Poteva mettere in campo molta più esperienza di me e veniva da un periodo travagliato, aveva voglia di risorgere.
Io avevo perso l’incontro precedente nel circuito e mi sentivo addosso un’adrenalina mista a paura addosso che la metà sarebbe bastata.
La UFC è il top che esiste, ti alleni coi migliori, affronti i migliori, tutti gli eventi sono giganteschi circhi trasmessi in pay per wiew in tutto il Mondo: difficile restarci dentro se perdi due volte di fila.
Lo scrivono anche nelle grafiche vicino al tuo nome se arrivi da una W o da una L.
E la big L vicino al tuo nome ti carica a pallettoni.
Vivi o muori, every single day!
Una cazzo di giungla.
Ero in California già da un po’ di tempo ormai e oltre a ritrovarmi ad usare alcune espressioni in inglese che mi sembrano rendere meglio certi concetti (sono molto più dirette!) mi sono anche reso conto che se vuoi qualcosa, nel mio mondo, devi essere pronto a tutto.
Se lo vuoi davvero.
Se no lascia perdere.
Se no torna a casa, non cominciare neppure.
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Me ne sono andato dall’Italia per potermi confrontare con il meglio che la scena propone anche se questo all’inizio ha significato fare il diavolo a 4 per chiudere il minimo di sponsor necessari a pagarmi la vita in California, dove tutto costa sempre tantissimo.
Ora posso dire che è stato un investimento sensato.
Ho investito su me stesso, è come investire sul mattone, solo che io sono più duro! LOL!
Ma ci sono stati anche giorni durissimi.
Non mi sarei lasciato scappare l’occasione di mettere il mio nome sulla bocca degli appassionati di questo sport e mi sono allenato in maniera massacrante per arrivare perfetto al 25 giugno.
Tutto è stato progettato nel minimo dettaglio e tutto è andato terribly smooth.
Ero ingrossato notevolmente visto che sono passato dai welter ai middle weight anche se io proprio piccolino non ero neanche prima, quella con Vitor si preannunciava una lotta senza quartiere.
A proposito.
Vi ricordate il discorso su W e L?
Anche Vitor veniva da una sconfitta e ci avrebbe messo l’anima nella gabbia.
Quando una bestia come il brasiliano viene da una batosta, da un mezzo infortunio e si fa raggiungere dalla moglie per vedere l’incontro live… c’è da crederci che sputerà il sangue per davvero.
Anche per questo avevo lavorato come un’animale sul fiato, sul conditioning perché volevo tenere un pace, un ritmo, che gli spezzasse il fiato, volevo che sentisse i polmoni scoppiargli fuori dal petto.
E per tenerlo sul suo back foot, costantemente sulla difensiva.
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Avevo studiato il suo stile nei minimi dettagli: è uno striker, uno bravo a calci e pugni, meno temibile nelle prese a terra, ma la cazzata più grande che potessi fare era quello di sottovalutarlo.
In più lui non andava mai al tappeto, ma proprio mai, un incassatore allucinante.
La settimana prima del match scorre via serena, mi sentivo pronto, sento quella pressione buona, quella che è voglia di entrare nella gabbia e impormi, senza se e senza ma.
Sento i nervi che pulsano sotto lo strato superiore della pelle, ma è un bene che fossero lì, li conoscevo bene, li avrei giostrati a modo mio.
Un piccolo inconveniente il giorno precedente all’incontro mi ha un po’ turbato: il mio coach si trovava a New York all’angolo di Wanderlei Silva che combatteva contro Chael Sonnen e non sarebbe riuscito a raggiungermi in tempo perché Silva aveva preso troppi colpi durante il suo incontro ed era finito in ospedale.
Ma ho fatto un respiro profondo e I didn’t let it go to my mind!
Mi dico a voce alta che devo andare fuori e fare qualcosa di cui andare fiero, qualcosa che avrei raccontato con il petto gonfio.
Ero pronto ad andare the distance, a fare tre round, 15 minuti di guerra: ero SUL MOMENTO, body and soul.
L’evento era in Oklahoma, forse meno roboante di quelli fatti a Vegas a cui avevo preso parte prima di questo, ma io lo preferivo perché quando il circo è troppo grande gli occhi finiscono solo sul domatore dei leoni!
In un evento enorme tutto finisce col girare intorno al main event, ma in un evento più ridotto, ogni incontro ha un peso specifico enorme.
Entro nella gabbia.
Prima cosa che vedo: al suo angolo c’è un altro fighter, uno sparring, che è famoso per essere un maestro della lotta a terra.
Lo sapevo: è preparato.
Lui è uno vero e non lascia niente al caso.
Centro gabbia, lo guardo negli occhi, lo faccio sempre con tutti, lui evita lo sguardo, non vuole farsi condizionare.
Ma l’aria è elettrica e sento chiaramente nel midollo che lui c’è.
Cazzo se c’è.
PRIMO ROUND
Io parto forte, cercando di non strafare o finisco col bruciarmi contro uno che incassa bene come lui.
Tengo un pace ottimo e metto subito a segno dei colpi pesanti.
Quasi immediatamente gli entro con i pugni e lo apro, un piccolo taglio vicino al naso che lo fa sanguinare.
Ma la cosa che ricordo meglio di tutto è che aveva la testa durissima, era come dare cazzotti al marmo.
Arrivavo al volto ma la sua testa non si inarcava, non si muoveva all’indietro. Incassava e basta!
Dopo i primi due minuti mi trovo in una situazione strana, il ritmo che tenevo era ottimo, ma mi rendo conto che non credo di durare 15 minuti così.
Nessuno potrebbe durare 15 minuti così.
Devo cercare di rallentare un po’ ma non è facile perché comunque i colpi arrivano, gli entro nella guardia, sto andando bene.
Lo voglio tenere schiena alla gabbia ancora un po’
Altro che semplici cazzotti: questa è una guerra di testa prima di tutto!
Al quarto minuto del primo mentre ci stiamo scambiando un paio di favori a centro ring lui parte con un calcio alto che riesco ad evitare ma nel deviarlo e portarlo giù espongo lo sterno e il suo ginocchio lo prende in pieno.
Involontario ma fortissimo.
Ancora oggi mi fa male a toccarlo.
Lo sterno recupera molto lentamente.
Lo porto a terra, ma si difende.
Campana.
Cerco di recuperare al meglio prima del secondo.
Gli allenamenti massacranti che facciamo servono perché quel minuto di pausa ti sembri 10 minuti, anche di più.
Ricarica rapida!
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SECONDO ROUND
Riparto.
Non sarò fresco come una rosa ma la mia esplosività è tutta lì, il brasiliano è un cazzo di diesel e non bisogna mai dar per morto un serpente a sonagli.
Lui è sempre dentro il match, sempre.
Lo ammiro per questo.
La lotta per il centro del ring diventa più difficile.
Verso fine round inizio a mischiare un po’ le cose e cerco di portarlo a terra.
Un takedown intelligente, partendo dal clinch, dal petto contro petto, senza buttarmi sulle sue gambe che sarebbe stato un azzardo.
A terra lui si difende benino e riesce a staccarsi e rialzarsi, porta a segno due calci ma proprio in quell’istante la sua guardia si apre un po’ e con un paio pugni lo stordisco.
Lo atterro afferrandolo su un suo calcio e gli finisco sopra.
Campanella infame.
Lo salva.
Due grandi ruond, seguendo il game plan.
Sono stanco? Certo cazzo ma è andato tutto come da copione e l’ho lasciato per dieci minuti di fila sulo suo back foot!!
All’angolo mi dicono: 2 sono tuoi, 2 sono tuoi.
Ma non me ne frega niente.
Devo rimanere centrato e pigliarmi pure il terzo.
Io sono fatto così.
Beast MODE!
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TERZO ROUND
Il terzo round è aperto.
Poker a carte scoperte, ci scambiamo una valanga di cortesie in piedi.
Schivo un calcio alla testa per un capello e lui, in piena trance-disperazione agonistica prova persino a portarmi a terra.
La lotta a terra che è il mio territorio di caccia.
Poco alla fine altro takedown mio, dal clinch, non eclatante, ma ferocemente lucido.
Ultimo minuto passato sopra di lui.
Anche il terzo è mio.
L’adrenalina scende e faccio persino fatica ad alzare il braccio per esultare perché lo sterno pulsa di dolore.
Ma guardo il pubblico avvolto nel tricolore, sorrido mostrando a tutti il mio paradenti.
So di aver vinto una grande battaglia.
La giungla.
Ogni giorno vita o morte.
Oggi vita mia.
Morte tua.