Tornare al massimo livello in gara è stato molto emozionante, soprattutto in uno slalom gigante. Perché sciare al livello che ti viene richiesto per vincere è sempre un’impresa durissima e io mi sento ancora come se stessi rincorrendo qualcuno o qualcosa, sulla strada della mia carriera.
In estate ho provato 5 paia di sci.
Potranno anche sembrare tanti, ma non lo sono.
Di solito gli atleti iniziano la stagione con almeno 20 paia pronti all’uso, per ogni tipo di pista e di neve.
Quest’anno, come tanti altri, non ho avuto modo di sciare in condizioni neppure lontanamente simili a quelle che sto affrontando sui tracciati della Coppa del Mondo.
Abbiamo preso quel che di buono potevamo prendere, pensando che quando saremmo arrivati in Europa, avremmo avvicinato le gare in modo più tradizionale.
Poi è arrivato Soelden.
Forse troppo presto.
Sapevo di avere ancora moltissimo lavoro da fare per raggiungere il livello delle altre e l’infortunio alla schiena non ha fatto altro che farmi sentire come se stessi continuando a cadere all’indietro, perdendo terreno dalle avversarie migliori e dalla miglior versione di me stessa.
Ci è voluta tanta pazienza, e sacrificio, per ricostruire il nostro modo di lavorare.
Sono tornata ad allenarmi con il mio team, ogni giorno, cosa che in estate non era stata possibile.
E abbiamo ricominciato, quasi da zero, a testare i materiali e a mettere nelle gambe ore di fatica.
Solo allora, nei giorni di avvicinamento a Courchevel, ho finalmente percepito che ci stavamo muovendo nella giusta direzione.
Per quanto tu possa prepararti sotto ogni punto di vista, nulla potrà mai simulare davvero quel che si sente in gara, perché la gara è un mondo a sé, completamente diversa da qualunque altra cosa.
È davvero l’ultimo step, a cui puoi dare un’aggiustata solo quando il resto funziona già alla perfezione.
Per me è proprio una questione di feeling, e di energie mentali.
Che vanno gestite e comprese.
È un equilibrio delicato, sfiancante, che ti brucia la giornata come se il tempo andasse al rallentatore.
Bisogna riuscire a comprimere tutta l’energia che si ha dentro in un minuto e mezzo, la mattina.
E in un altro minuto e mezzo, nel pomeriggio.
Le restanti dodici ore sono attesa, con il desiderio di andare in pista e l’impossibilità di farlo.
È decisamente più faticoso di quanto non sia fare un giorno intero di allenamenti durissimi, in cui continui a salire e scendere dalla montagna.
Una fatica diversa, più complicata e decisamente meno liberatoria.
Nel primo giorno di gare, a Courchevel abbiamo trovato condizioni dure, e in entrambe le manche ho sentivo che mi mancava ancora qualcosina.
La capacità di percepire fino in fondo quello che stavo facendo, mentre lo stavo facendo.
La perfetta consapevolezza anche dei dettagli più piccoli, degli aggiustamenti da fare in corso d’opera, curva dopo curva.
Mi sono sentita distante, non pronta a fare top to bottom con il pieno controllo.
Ma nella seconda gara, con condizioni diverse, che mi piacciono di più, quasi stupendo me stessa, sono stata travolta dai pensieri positivi proprio al momento giusto.
Un’attitudine alla luce e al lato positivo delle cose, durata tutta la gara, che mi ha permesso di pensare mentre sciavo.
Pensare, con naturalezza.
Una comprensione immediata di quello che stavo facendo, quasi un ritorno al passato, grazie al quale ho sentito di avere il giusto mix tra velocità e linea, dall’inizio fino al traguardo.
Tornare in alto è stato bello, ma questo è solo il primo passo di un percorso lungo e pieno di insidie.
Molti dicono: “You are back!”
E io penso: “I’m not back!”
Oggi è stato oggi, domani sarà domani e il giorno dopo sarà diverso ancora.
Aver vinto una gara non significa che le vincerò tutte sempre.
Non era così prima e non lo è neppure adesso.
Quando la gente guarda alla mia carriera spesso vede solo i grandi numeri e pensa che vincere sia ovvio, sia scontato.
Ma ogni volta che vinci definisci un nuovo standard e porti l’asticella un po’ più in su.
Partecipi a creare la miglior maniera di fare le cose, dentro e fuori dalla pista, descrivendo così un percorso che le altre poi possono guardare, copiare, imitare.
Se sei in cima, sei tu stessa a migliorare le altre.
È come se scrivessi un libro che tutti possono consultare, mentre per te non esistono guidelines, e non esistono manuali.
Esiste solo una dose extra di stress che ti porta a chiederti:
starò facendo le cose giuste?
Ecco allora che un giorno ti riposi invece che allenarti, oppure viceversa, e ti ritrovi, due settimane più tardi, a sentire il peso di quella scelta durante un allenamento.
Snowball effect.
E te ne penti.
La verità è che una buona giornata non cancella i rischi, le incognite e le paure che affronti in quanto sciatrice, né tantomeno alleggerisce il carico di lavoro che serve per restare in alto.
“Now she’s back!”
è superficiale pensarlo, perché solo chi lo ha vissuto sulla propria pelle o ha visto i momenti difficili da vicino, può sapere con precisione quanto costi e quanto valga fare risultato.
Pensi che la gara sia il momento glamour della vita dello sciatore.
Lo è.
E allo stesso tempo non lo è, perché 67 vittorie, se le metto in fila saranno poco più di un’ora e mezza della mia vita, in cui di certo ho sciato molto, molto bene.
Ma un’ora e mezza è nulla se messa a confronto col tempo che ho passato e passo tuttora sugli sci, ed è troppo facile dimenticarsene.
Nello sci le variabili sono infinite e vanno gestite.
Cambiano le ondulazioni, cambiano il vento e il sole, cambiano la neve e il tracciato.
E io mi sento come se dovessi imparare da capo come si compete in ognuna di queste condizioni, ogni giorno riparto, e ricomincio da capo.
Come tornare a scuola.
È stato bello tornare a vincere una gara.
Come un abbraccio collettivo fatto un po’ di gioia e un po’ di sollievo.
Sono sempre stata così: maggiore è la pressione che sento e maggiore è il sollievo dopo un buon risultato raggiunto.
Questo non sembra essere cambiato, e non credo che cambierà mai.
Raramente mi sento felice, quando finisce una gara.
Ci sono troppe emozioni e troppe cose che succedono appena passi la linea, ed è impossibile processarle al volo, o almeno veloce a sufficienza per esserne semplicemente contenta.
How do you feel?
È difficile rispondere alla domanda che tutti vogliono farti dopo una vittoria.
Vorrei dire che “non lo so”.
Nello sport, la felicità è un privilegio che dura un attimo, un momento solo.
Piccoli secondi di lucida gioia che provo nel dipingere una curva perfetta durante una manche.
Oppure quando scio da sola, senza un pettorale addosso, mentre ripenso ad una gara.
Istanti miei, vissuti lontano dalla luce dei riflettori.
La luce dei riflettori illumina.
Ma se ti avvicini troppo può anche scottare, e io sto ancora imparando come mantenere l’equilibrio tra quello che è soltanto mio e quello che è mio, ma è anche di tutti gli altri.
La cultura europea, per certi versi, è più salutare, diversa da quella che abbiamo negli States.
Le ragazze europee dividono la vita privata e quella sportiva in maniera netta: fanno quello che devono, poi mettono giù il telefono e vanno a fare la loro vita.
Per me è più difficile, perché voglio proteggere quello che mi è caro ma allo stesso tempo sono anche così enormemente grata di avere la possibilità di raccontare quello che facciamo e quello che siamo.
Soprattutto in un anno come questo.
Quanto è speciale essere qui a competere, a raccontare lo sci e le nostre storie mentre il mondo è in stand-by?
Mentre una pandemia isola le persone dentro le loro case, il nostro sport è condivisione.
Il prezzo da pagare per questo è più che accettabile, pur sapendo che tra l’atleta e la persona, non ci sarà mai una piena comunione.
È una lotta costante, dove rischi di cadere da una delle due parti e di restarci per sempre.
Non c’è una linea netta che le separa.
Ci sono soltanto cose che mi sanno riportare con i piedi a terra, come la famiglia, gli amici, o una sciata senza che ci sia nessuno a guardarmi.
Non sono un’atleta oggi e una donna domani, sono entrambe le cose sempre, ma è un dato di fatto che quando una in particolare prevale sull’altra, io mi senta più felice.
E oggi questo basta.
Basta a sentirmi bene, basta a sentirmi al posto giusto, a prescindere dai risultati e dai successi.
Basta a sentirmi serena e a lavorare con il sorriso, cosciente che oggi è stato oggi, domani sarà domani e il giorno dopo sarà diverso ancora.