Il primo ricordo che ho di Lorenzo è lui sulla barchetta che pesca.
È come un’ossessione, è quasi una malattia.
Fin da quando era piccino, lui si piazzava lì e pescava, e guai a spostarlo.
Era felice così e non c’era modo di fargli cambiare idea. E dire che il fratello più grande ero io, e che noi ci si picchiava tanto, e ci si picchiava anche particolamente bene direi. Ma la pesca era una cosa soltanto sua e non sono mai riuscito a fargli cambiare idea.
Non è un’ossessione, la pesca.
È che quello è il mio posto felice. Nessuno può rovinarmi la giornata, se ho in mano una canna da pesca. Stacco da tutto, resto da solo con il mare, e il resto sparisce all’orizzonte.
Mi libera l’anima. Mi fa sentire in pace con me stesso e con tutti gli altri.
È una cosa mia, che mi fa tornare indietro agli anni dell’infanzia.
Gli anni in cui io e Niccolò eravamo piccoli, e giocavamo a fare i grandi, anche quando era difficile farlo.
Sia la mamma che il papà sono persone splendide.
Le persone più buone del mondo, solo che non sono fatti per stare insieme. Quando si sono separati, per noi è stato difficile capire perché volessero continuare comunque a vivere nella stessa casa e litigare, piuttosto che prendere strade diverse.
Forse anche per quello ci siamo legati tanto ai nonni, che ci proteggevano e ci facevano scoprire sempre cose nuove.
Il nonno mi ha insegnato a prendermi cura delle galline, a gestire un pollaio, a tagliare l’erba e a curare il giardino. La nonna ci bacchettava più sulla scuola, ma tutti e due hanno avuto un ruolo molto importante per noi.
Specie quando Niccolò è andato in Accademia, a Prato, ed io sono rimasto a casa da solo per un paio di anni. In quel periodo, le litigate me le beccavo tutte io.
Le grida, le incazzature.
Quando mi alzavo non vedevo l’ora di andare a scuola, oppure all’allenamento, solo per uscire da lì.
Certo lui c’era, mi seguiva, mi scriveva.
Ma ci vedevamo soltanto nei weekend. Era diverso da prima, quando era fisicamente lì per proteggermi.
Ecco, sì, a volte mi prendono anche in giro per quanto siamo attaccati noi due.
Ancora oggi capita.
Mi sembra quasi di essere una tata.
Ma lui è sempre stato il mio fratellino, e sempre lo sarà, non posso farci niente, viviamo in simbiosi, uniti da quei primi anni lontani.
Giochiamo nella stessa squadra, viviamo nella stessa casa, amiamo le stesse cose. Condividiamo passioni e tristezze.
Siamo l’esempio della fratellanza perfetta.
Mi ricordo una volta che avevo litigato con qualcuno della compagnia, al mare, giù a Livorno. Non faccio in tempo a reagire, che Niccolò arriva subito.
Un gigante.
Si è messo tra me e gli altri, pronto a proteggermi, perché ero il più piccolo del gruppo e perché ero il suo fratellino. Guai a toccarmi.
Sono ricordi semplici, ma che non potrò mai eliminare, perché sono alla base del nostro rapporto, e perché hanno dato una forma al nostro futuro.
Prendi il rugby, per esempio.
Lorenzo ha iniziato soltanto per seguire le mie orme.
Io sembravo destinato a giocare a calcio, anche perché, possiamo dirlo, discendo da una grande dinastia di portieri.
Il babbo era portiere.
Lo zio era portiere.
Il nonno era portiere.
Ho provato il pugilato, il tennis, e persino il basket, anche se per un solo allenamento, ma era chiaro fin da subito che il mio posto fosse tra i pali.
Eh, esagerato!
In realtà gli hanno fatto un piacere a tirarlo fuori dal campo da calcio.
Lo avevano piazzato in porta perché era grande e grosso, perché pesava 110 chili a 15 anni e perché con quel testone che aveva non si spostava mica tanto facilmente.
Io giocavo ala, e a differenza sua correvo, e avevo talento .
Poi sono arrivati a scuola a farci vedere il rugby, e lui ha iniziato così, quasi per caso, perché la mischia sembrava più adatta alla sua taglia.
Così, quando ho visto quanto era bello il rugby, dopo la sua prima partita, il lunedì successivo mi son presentato al campo anche io.
Per diventare bravo per davvero, io mi sono dovuto fare un mazzo così: andare in Accademia, allenarmi duramente, mettermi a dieta.
Poi mi giro, e cosa vedo?
Lorenzo che in quattro e quattr’otto diventa subito fortissimo.
È stato baciato dal talento e a volte ancora mi rode vedere quanto tutto gli venga facile, sapendo quanto a me, invece, costa fatica.
È vero che sono sempre stato portato per lo sport, ma il talento da solo non basta mica.
Ho fatto atletica leggera, un po’ di boxe… un anno ho provato persino il ballo hip hop. Ma quando lui ha iniziato col rugby, mi ci sono buttato anche io, e non mi sono più voltato indietro.
Mi piaceva tutto del rugby.
Il contatto, la fatica, il fatto che prima ti prendevi a spallate e poi si andava a bere tutti insieme.
Ricordo di aver pensato che Lorenzo sarebbe arrivato in alto, la prima volta che l’ho visto con un pallone in mano.
Certi giocatori li riconosci da subito, non serve nient’altro.
Basta uno sguardo, basta un momento, e riconosci subito il futuro.
Stagione dopo stagione, con davanti agli occhi l’esempio di Nico, sono sempre salito di livello, con la voglia di dimostrare di poterci stare, di essere bravo abbastanza.
Di essere pronto a giocare insieme a lui.
E poi, quel giorno arriva, e tutto il cerchio si chiude in maniera perfetta.
Giochi per lo stesso club, fai le stesse esperienze, arrivi a vestire con la maglia azzurra, sempre insieme.
E ripensi all’infanzia, ripensi ai pomeriggi passati nell’orto o nei prati.
Ripensi a come ci siamo sostenuti nei momenti più difficili.
Mi butto oltre la linea di meta, stiamo giocando contro Samoa.
Nel giorno del mio primo cap, arriva la mia prima meta.
Mi rialzo di fretta, perché mi sento pieno di elettricità, ma vengo travolto da un abbraccio che mi stritola.
Il sole si oscura sotto la sua mole. È più felice di me.
È arrivato Niccolò.
Pensare a dove siamo arrivati dà un senso a tutto il percorso, eppure ogni cosa è ancora così fresca.
Così nuovo.
Guardo alla Coppa del Mondo e mi vengono i brividi a pensare che magari potremmo anche giocarla insieme, al cospetto delle nazionali che hanno scritto la storia del rugby.
Resta il fatto che per noi il rugby è casa, lo spogliatoio è casa.
E ovunque saremo insieme, allora quella diventerà la nostra casa.
E se la casa è quella azzurra, allora tutto è ancora più bello, perché per due fratelli toscani, a cui piaceva pescare e fare la lotta, era davvero difficile pensare di arrivare fin qui.
Ma in qualche modo ce l’abbiamo fatta, e ce l’abbiamo fatta insieme.