Ho deciso di smettere di sciare.
L’ho fatto durante un inverno di tanto tempo fa, quando io, di anni, ne avevo solo 14.
Ogni mattina prendevo lo stesso identico autobus, che alle sei in punto mi recuperava poco oltre il vialetto di casa e mi portava fino ai cancelli della scuola.
Al ritorno, nel pomeriggio, di corsa sulle piste, per allenarmi il più a lungo possibile, finché la luce del sole lo permetteva.
Tutti i giorni, dall’alba al tramonto.
Certo, il sabato e la domenica non c’era la scuola, ma la sveglia suonava comunque prestissimo, per mettere gli sci ed andare sulla neve, approfittando delle mattine libere.
I miei amici avevano molto più tempo libero di quello che avessi io e, a me, non sarebbe dispiaciuto provare la vita di ogni altra adolescente.
Almeno in prestito.
Sono stata bravissima: per due settimane non ho toccato gli sci, nemmeno una volta.
Ma alla terza ho iniziato a sentire che qualcosa scricchiolava, nella mia testa.
Mancava qualcosa.
E allora ho chiesto all’allenatore di poter tornare ad allenarmi.
Solo allenarmi.
Niente gare.
Così mi restano i weekend.
Pensavo.
Sono durata poco, questo si può intuire, perché appena ho visto i compagni cominciare i preparativi per andare al cancelletto di partenza, mi è scattata una molla dentro.
Mi sono accorta di non poterci fare a meno e, in men che non si dica, sono tornata a gareggiare anche io.
Non ho più smesso di farlo.
Non ho più smesso anche se diventare una sciatrice professionista non era assolutamente il mio sogno. Anche se ho scelto lo sci perché sono nata e cresciuta vicina ad una pista (e scendere con il bob non era altrettanto divertente!).
Non ho più smesso anche se tutto era cominciato just for fun.
Il mio primo amore è stato il calcio.
Ma è stato un amore durato troppo poco, iniziato da bambina e finito prima del liceo.
Ero la sola femmina in squadra e quando siamo arrivati ai 12,13 anni, io ero troppo gracilina per competere con gli altri: tutti troppo alti e troppo veloci per me.
Da quel giorno in avanti mi è rimasta addosso la voglia di far vedere a tutti, sempre, quanto valgo; una natura competitiva che mi ha aiutato molto negli anni a venire, quando non ero la più forte, o la più muscolosa, o la più alta.
Dopo aver voltato le spalle al calcio, mi sono dedicata interamente allo sci.
Ma ci credevo talmente poco che non mi sono neppure iscritta in una delle tante scuole austriache create apposta per i giovani sciatori, una scelta che pareva obbligata per chiunque volesse avere una carriera luminosa.
Io immaginavo di diventare una fisioterapista, oppure un’istruttrice di fitness, e per questo non mi sono mai preoccupata di allenarmi durante l’estate o di sognare in grande.
La neve era un hobby.
Bellissimo. Ma pur sempre un hobby.
Il richiamo della montagna, però, non ha mai smesso di farmi un’eco nelle orecchie, e quando sono diventata grande abbastanza per capire tutte le conseguenze delle mie scelte, mi sono ritrovata a progettare una vita da sciatrice vera, quasi senza accorgermene.
Come una naturale conseguenza del mio diventare ogni giorno un po’ più grande.
Forse, aver cominciato a fare sul serio qualche anno più tardi rispetto alle altre, con i ritiri estivi, gli allenamenti massacranti e tutto il resto, mi ha permesso di apprezzarne la vera importanza, di essere completamente coinvolta.
Una scelta tutta mia!
Pronta alla fatica, mi sono sentita, all’improvviso, incapace di immaginare la vita senza gli sci, senza le gare, e così è stato fino ad oggi, anche quando gli infortuni hanno provato a metterci lo zampino e a farmi cambiare idea.
Magari, un po’ per caso, ma sicuramente per passione: è così che sono diventata una sciatrice professionista.
Ed è anche quello che ho provato a spiegare alla polizia aeroportuale canadese, durante il viaggio di ritorno dalle Olimpiadi di Vancouver 2010, la mia prima edizione dei Giochi.
Al controllo di sicurezza, ogni volta che passavo sotto, il metal detector suonava all’impazzata, nonostante ad ogni passaggio mi togliessi uno strato di vestiti.
La colpa era di una crema per le mani, che conteneva tracce di argento.
Ma gli addetti alla sicurezza, insospettiti, per tutta la procedura, continuarono a chiedermi quale fosse il mio lavoro.
“Sono una sciatrice, sono stata alle Olimpiadi!”
“Si, ok. Ma qual è il tuo lavoro? Dovrai pure avere un lavoro vero!”
Dogane canadesi a parte, sono stata una ragazza fortunata, perché mi è sempre stato permesso di fare le mie scelte in completa libertà e di decidere da sola che cosa avrei fatto crescendo.
Mi è stato permesso di cambiare idea.
In questo, i miei genitori sono stati davvero fantastici, presenti eppure sempre alla giusta distanza, come se fossero nascosti tra il pubblico ad osservare, volendomi bene ma senza esprimere mai un’opinione troppo ingombrante.
Oggi, sono felici per le vittorie, quanto e più di me.
E sono tristi, quanto e più di me, per le giornate no e i momenti difficili.
Ma quel che faccio resta sempre un’idea mia e loro sono dalla mia parte.
Non significa che io non cerchi il loro sguardo, appena passo il traguardo di una gara, oppure che sapere tutta la famiglia riunita in casa per guardarmi alla tv non mi riempia il cuore di felicità.
Anzi, agli esordi in Coppa del Mondo, quando venivano a bordo-pista, mi ritrovavo con le farfalle nello stomaco e mi preoccupavo di fare bene più per loro che per me.
Ma anche questo, col tempo, è cambiato.
Ed è cambiato al punto che all’ultimo Mondiale, quello di San Moritz 2017, ho organizzato il loro viaggio nei minimi dettagli, per poi comunicarglielo a poche ore dalla partenza e “obbligarli” moralmente a raggiungermi in Svizzera.
Non se ne sono di certo pentiti, visto che l’oro iridato vinto in quel SuperG resta uno dei miei ricordi più belli in assoluto.
Mi ricordo di quel giorno, ma anche di molti altri, che messi tutti insieme diventano il grande puzzle della mia carriera inaspettata.
Ce n’è uno in particolare a cui penso spesso.
Eravamo proprio a Cortina, nel 2013, e al mio angolo c’erano tutti, questa volta.
Non fu una gara speciale e arrivai ventitreesima.
Ma era da talmente tanto che non facevo dei punti che quel ventitreesimo posto aveva lo stesso sapore di una medaglia, e lo festeggiai organizzando una piccola festa con tutta la mia famiglia.
Il giorno seguente la sorte è cambiata e sono finita seconda in super-G sull’Olimpia delle Tofane, il mio primo podio in assoluto in carriera. E questo dimostra quanto velocemente le cose possano cambiare nello sci. Un giorno insegui e in quello seguente sei in cima, ed è il motivo per cui lo sport di alto livello sia speciale e difficile.
Perché credo che nella vita sia giusto festeggiare tutto quello che ti rende felice,.
Anche se non era parte del tuo piano iniziale.
Anche se ti ci è voluto un po’ a capire quanto lo desiderassi davvero.
Anche e soprattutto se avevi iniziato a farlo just for fun.