Simone Alessio

9 MIN

Sono dieci anni che mi spacco di lavoro, con il solo e unico obiettivo di vincere un oro Olimpico. Nient’altro.

Nessun altro scopo, nessuna fermata intermedia.

Nessuna scusa.

Voglio i Cinque Cerchi.

Voglio il gradino più alto del podio e voglio un posto nella storia.

Però, oggi, sono anche consapevole del fatto che fare tutto giusto, potrebbe non bastare comunque per ottenere la gloria.

So che anche se anche costruissi l’avvicinamento perfetto, potrebbe esistere qualcosa che me la toglie di mano lo stesso, che me la strappa via e la porta lontano.

Che mi sconfigge.

So che il destino non dipende unicamente da me, e capirlo non è una cosa da poco.

Ho dovuto sbatterci la testa e soffrirne in prima persona, prima di rendermene conto.

Simone Alessio

Mi chiudo in me stesso e osservo il futuro, che è soltanto potenziale, che è soltanto un’idea di grandezza, ma non per questo è meno vero, meno intimo.

Provo a figurarmi tutti gli scenari che mi attendono, andando avanti, incontro dopo incontro.

E, quando sono allo specchio, contemplo anche il fallimento, contemplo di cadere e di sbagliare: un qualcosa che prima non avrei mai avuto il coraggio di fare.

Ora so che esiste l’errore e che non è la fine del Mondo.

Lo so perché lo conosco.

Perché l’ho toccato con mano.

Visualizzare tutti gli scenari possibili crea un percorso, nella mia testa e nella mia anima, e quel percorso mi permette di restare sulla via maestra il più a lungo possibile, anche quando tutto rema in direzione opposta alla mia.

Anche quando sbatto contro gli angoli del mio carattere.

È successo, in passato.

E quella stessa esperienza mi sorregge affinché non succeda più.

Mai più.

Simone Alessio

La sconfitta di Tokyo è stata un colpo doloroso.

Una ferita profonda.

Un taglio ancora aperto.

Sulle ceneri di quella sconfitta ho dato fuoco alla mia rabbia.

E sulla potenza di quella rabbia ho costruito 18 mesi di assoluta perfezione, di ferocia agonistica.

Mesi in cui mi sentivo intoccabile, e dove sono rimasto imbattuto.

Un anno e mezzo di dominio tecnico.

Fisico.

Mentale.

Sentivo l’intero Pianeta ai miei piedi.

Poi, giunto di nuovo davanti ad un bersaglio grosso, questa volta un Mondiale, sono caduto ancora, proprio nel momento in cui meno me l’aspettavo.

Proprio nel giorno in cui contava di più.

In quell’anno e mezzo di successi il mio ego si era ingrandito a dismisura, si era gonfiato, e quando è esploso in faccia ad nuova sconfitta, mi sono perso.

Mi sono perso in me stesso e nei miei vecchi difetti.

Non volevo fare altro che allenarmi, come se mi fossi rinchiuso nella stanza dello spirito e del tempo, distante da tutto e soprattutto, distante da tutti.

Simone Alessio

Non mi interessavo più alle mie passioni.

Non volevo più coltivare gli hobby.

O uscire con gli amici.

O anche solo cazzeggiare sul divano con la mia ragazza.

Volevo solo allenarmi.

E poi allenarmi di nuovo.

Ancora e ancora, come se mi volessi purificare dalle sconfitte, come se volessi lavare via il puzzo del fallimento col sudore della fronte.

Come se volessi diventare così forte da eliminare la sconfitta persino dall’orizzonte delle possibilità. Renderla una curiosità statistica.

Renderla un’eclissi.

È stato un periodo duro per chi mi vuole bene, in cui ho smesso di prendermi cura dei miei affetti, e dove più una persona mi era vicina e più veniva ferita dal mio dolore.

Dal mio intenso desiderio di solitudine.

Dalla mia depressione.

Simone Alessio

Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo e di sentirmi come quando ero un bambino, e niente era facile.

Mai.

Ero un attaccabrighe, un poco di buono.

Per nulla propenso a stare con gli altri.

Incapace di accettare le loro motivazioni, le idee diverse dalle mie.

Tutte le immagini d’infanzia che mi ritornano in mente sono simili.

Tutte mi ritraggono in punizione.

In tutte vedo mia madre che viene a recuperarmi a scuola, costretta a sgridarmi per qualcosa che avevo combinato.

Si creavano i gruppetti, come accade in ogni classe, ed io non appartenevo mai a nessuno di essi.

Ero l’escluso.

Ero il diverso.

E anche se oggi so che la colpa era del mio carattere, che ero io ad essere una testa calda, in quegli anni era più comodo sentirsi la vittima.

Era più semplice fare il contrario di quello che mi veniva chiesto di fare.

Preferivo esistere in antitesi agli altri.

In antitesi al Mondo.

Simone Alessio

© Roberto Zazzara

Papà è un carabiniere, un esempio di integrità.

Lo è sempre stato.

Mentre mamma è una delle donne con la scorza più dura che abbia mai incontrato.

Era la più grande di otto figli e, per i casi, della vita si è ritrovata a crescere i suoi fratelli quasi da sola, quando era ancora una ragazzina.

E io sono la somma di questa durezza e di questo senso di giustizia.

Come se avessi due pezzetti di loro dentro di me, e ragionassi di conseguenza.

Quando vedevo qualcosa che non mi andava a genio, qualcosa che ritenevo sbagliato, reagivo prontamente, ma in maniera diretta, che non ammettere repliche.

Con forza.

E per questo non capivo poi le punizioni, non capivo le sgridate.

Non capivo dove avessi sbagliato nel difendere i miei ideali.

Per fortuna è arrivato lo sport.

È per esasperazione, mi hanno portato in palestra.

“Che magari ti consumi”, diceva la mamma.

Che magari ti insegnano loro a restare dentro le righe, una volta ogni tanto.

Simone Alessio

© Roberto Zazzara

Hanno scelto il taekwondo, perché papà lo aveva praticato, ed è stata una benedizione.

Al primo giorno di allenamento, da arrogante che ero, arrivai e mi piazzai subito davanti a tutti, proprio di fronte al maestro.
Fu lui a dirmi che ero l’ultimo arrivato, e che, come tutti gli ultimi arrivati, sarei stato meglio laggiù, in fondo alla classe.

Poi, per non saper né leggere né scrivere, io ho provato comunque a combattere con uno più grande di me, e le ho prese di santa ragione.

Ho capito subito, o quasi subito, di essere bravo, anche se ho dovuto aspettare di compiere 10 anni per fare i primi veri incontri.

E quella è un’attesa che insegna.

Così come insegna vederti proiettato in nazionale quando sei ancora un adolescente, oppure vincere in Italia e poi andare a perdere malamente all’estero, come se il tuo livello non fosse sufficiente a sopravvivere fuori dal tuo piccolo orticello.

Ho sempre pensato di essere un numero uno, di essere destinato a grandi cose, ma ci è voluto molto tempo per farlo sapere anche agli altri.

E quella è una conoscenza che non si improvvisa, che non si inventa.

È un sapere che senti dentro, e che puoi permetterti di esporre al mondo solo quando l’atleta che sei ha imparato a convivere con il passato.

Il tuo passato.

Con i pezzi del racconto che ami di meno.

Con il dolore della sconfitta.

Con la consapevolezza che vincere potrebbe anche non renderti meno arrabbiato di prima.

Simone Alessio / Contributor

Simone Alessio
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