Tina Graudina

8 MIN

Papà ha dedicato tutta la vita al volley.

Mamma invece all’atletica leggera e, anche se faceva un po’ di tutto, la sua disciplina preferita in assoluto era il salto in alto.

Ecco: io sono cresciuta come la diretta emanazione delle loro passioni, fifty-fifty, e sono diventata ragazza col cuore già a metà, perfettamente diviso tra il beach volley e l’asticella da saltare a testa in giù.

 

Ricordo le lunghissime nottate passate senza riuscire a prendere sonno quando è arrivato il momento di scegliere cosa volessi fare da grande.

Sono sempre stata una bambina buona, giudiziosa, dolce, ed ero talmente legata ad entrambi gli allenatori, che il solo pensiero che, preferendo uno sport sarei finita col ferire uno dei due, mi impediva di dormire.

Poi, come la maggior parte delle scelte importanti nella vita, tutto si è risolto senza che neppure me ne accorgessi.

Mi sono ritrovata in tornei di beach sempre più importanti, a caccia di risultati sempre più prestigiosi, e prima ancora di capire di averla fatta, la mia scelta era ormai storia.

Tina Graudina

Oggi non sarei certo la stessa persona, né la stessa atleta, se non avessi portato avanti due sport tanto diversi così a lungo.

Ero una bimba grande, alta ma non altissima, e già imparare a correre e a saltare nella maniera giusta mi dava un grande vantaggio sottorete rispetto alle mie compagne e alle avversarie.

E poi, in più, c’era anche l’aspetto mentale: quell’incredibile concentrato di pressione che è il salto in alto e, in generale, l’atletica.

Ti alleni tre mesi, a volte anche di più, solo ed unicamente per quei cinque secondi in pedana. Un attimo di perfezione, di performance assoluta, che arriva al prezzo di una fatica gigantesca. Non puoi sbagliare, non puoi fallire, e ogni ripetizione si carica di un peso enorme, assumendo il carattere di trionfo o di disastro.

È la now or never mentality, che con il tempo sono riuscita a tradurre anche nel beach e farla diventare una consapevolezza nuova.

Nel mio sport è impossibile avere l’intensità di quell’approccio spalmata su tutto un set, ma sapere di poter andare con la mente in quel posto speciale quando si giocano i punti decisivi mi permette di sentirmi forte e di essere clutchquando conta di più.

Tina Graudina

E lo so che è una cosa che può sembrare da film Hollywoodiano, ma in fin dei conti io a Los Angeles ci vivo, e tutto lo sport americano è permeato da questa retorica cinematografica. O la accetti o ti travolge.

Quando ho scelto di trasferirmi qui, per frequentare USC e giocare in NCAA, la cosa che mi ha colpito di più è stato scoprire come le giocatrici, lo staff, e tutto l’ambiente vivesse e raccontasse le proprie intime convinzioni sportive.

First place and nothing else”.

Nessuno accetta niente meno della vittoria.

La sconfitta non viene contemplata, non viene né capita né rispettata.

A casa mia, in Lettonia, dire che parti per vincere è vissuto quasi come un segno di arroganza, di poco rispetto.

Significa attirarsi delle critiche e, senza dubbio, anche della cattiva sorte.

Negli States tutto è iper-competitivo, pompato e rumoroso, e se una cosa è nella tua testa allora sei legittimata a tirarla fuori, a dirla al Mondo intero.

Tina Graudina

Nessuno ti giudicherà o riderà di te.

Ho vinto la mia timidezza e ho imparato ad affrontare la grandezza delle aspirazioni che vivono nella mia testa, anche se ancora oggi, quando faccio un’intervista per un giornale lettone, abbasso di un’ottava il tenore delle mie parole, per renderle più dolci alle orecchie dei miei connazionali.

Però adesso, se parto per vincere, lo dico senza problemi.

L’America è sempre stata nel mio destino, anche quando ero troppo piccola per rendermene conto.

D’estate venivamo a trovare le mie sorelle maggiori, sorellastre ad essere precisa, che si erano trasferite qui, e alcune delle memorie più belle che ho sono proprio quelle in cui da bambina il papà mi insegnava ad andare in bicicletta al Latvian Center, durante estati caldissime, persi nella natura incontaminata delle foreste americane.

Molti anni più tardi, finito il periodo dell’high school in Lettonia, ho scelto che anche io avrei dovuto attraversare l’Oceano e venire a cercare la mia fortuna al sole della California.

Le stagioni precedenti erano state molto dure, e faticose, perché la mia quotidianità era piena soltanto di tante cose da fare e di poco tempo per me.

Mi alzavo prima delle 7.00, andavo a scuola, mi allenavo tutto il pomeriggio, studiavo la sera, e poi il ciclo ripartiva il giorno seguente.

Eppure ho sempre avuto la fortuna di vivere lo sport come un gioco, e la scelta di frequentare un college mi avrebbe permesso di continuare su questo doppio binario e di sentirmi sia un’atleta che una studente, senza incastrarmi in uno solo dei due personaggi.

Tina Graudina

Ora, sto imparando ad apprezzare gli States e il modo degli americani di vivere la vita, lo sport soprattutto.

Tutto è competizione e meritocrazia, e all’interno del campus ci trattano come se fossimo delle vere e proprie star.

Anche se mi piace essere una giovane studente a Los Angeles, non riesco a immaginare di restare qui a lungo termine, perché con il tempo sto iniziando a sentire la mancanza di casa e di tutto quello che rappresenta per me.

È difficile da descrivere, perché le brave persone e i buoni amici esistono da entrambi lati dell’Oceano, ma c’è qualcosa che della Lettonia nessuno potrà mai colmare o sostituire, ed è la sensazione di appartenere.

La sensazione di essere al posto giusto, al posto mio, dove anche se non rivolgo la parola a nessuno, so che tutti stanno pensando e sognando nella stessa lingua in cui lo faccio io. Amo la Lettonia e presto o tardi sarà lì che tornerò, perché è lì che affondano le mie radici.

C’è quasi una sorta di stigma da noi, come un giudizio collettivo che si posa sulle spalle di chi fa la scelta di andare all’estero per studiare o lavorare. Quasi come se emigrare fosse l’espressione di una disaffezione, o di un disprezzo verso il proprio Paese e della sua offerta, quando invece non ha mai smesso di essere il mio centro del Mondo.

Prima di tornare, però, ho ancora molte cose da realizzare, la prima delle quali saranno le Olimpiadi di Tokyo 2020.

E in un viaggio come il mio, che è pieno di angoli e di curve, il desiderio più forte che provo, forse il solo che provo, è quello di chiarezza.

Voglio una strada dritta sotto le mie scarpe, senza incroci che mi confondano, perché dopo tanto correre e cambiare desidero sentirmi guidata da uno scopo preciso.

Lettone e un po’ americana, pallavolista e saltatrice in alto, studentessa e atleta: sono tante cose diverse, e spero che un po’ si riassumano tutte dentro un unico, distinto, percorso.

Tina Graudina / Contributor

Tina Graudina