Tutti in posa.
Facce intelligenti.
E click!
Ehi raga, raga, che cosa ci scrivo sotto?
io.
Mmh, senti questa: con dei tre quarti così il risultato può solo accompagnare!
risponde uno (si dice il peccato ma non il peccatore).
Ma come ho fatto a non pensarci prima! S-T-U-P-E-N-D-A!
di nuovo io.
26 Novembre 2016, siamo a Padova ed è in pieno svolgimento il terzo tempo.
Istituzione rugbistica ad ogni latitudine: emisfero Nord, quello Sud e se ci fossero anche in quello Est e in quello Ovest.
La birra non può mancare, questo si sa.
L'eleganza dei presenti era degna di Man in Black, il cinema è una mia grande passione, e posso quasi giurare che avessimo portato anche le pistole, quelle che spara-flashano e cancellano la memoria a tutti.
Foto da calendario Pirelli, versione male.
Postata.
Peccato che quello fosse il terzo tempo di Italia - Tonga e che in effetti il risultato non fosse stato proprio quello sperato alla vigilia: una sconfitta difficile da digerire.
Sono stato richiamato all'ordine immediatamente da quello sceriffo di nome George Biagi e ho lasciato la foto togliendo in fretta e furia la caption.
Perché non è mica facile riuscire ad esprimere tutto quello che ti passa per la testa con spontaneità senza scivolare sulle bucce di banana!
Almeno non troppo spesso che se no si rovina l'acconciatura!
A volte hai semplicemente voglia di condividere un pezzetto di te, della tua giornata e dei tuoi affetti, come fanno tutti i ragazzi del mondo. Ma per uno sportivo che rappresenta la propria nazione non è facile trovare il giusto equilibrio nei contenuti perché è come se quella maglia non la togliessi mai, neppure dopo la partita o sotto la doccia.
Ma sbagliando s'impara no?
Proprio a fianco di quella foto, sul mio profilo, appena appena a destra rispetto al cast di Man in Black al gran completo c'è questa invece, pubblicata dopo aver segnato una meta contro gli All Black.
Uno dei momenti più esaltanti della mia vita sportiva, senza il minimo dubbio!
Come si dice di solito davanti ad uno scatto che parla da solo: no caption needed.
A volte un abbraccio come questo dice più di cento parole e in questo caso esprimeva perfettamente quello che stava accadendo dentro di me: avevo toccato il cielo con un dito.
Ma noi quella partita l'avevamo comunque persa e, come accade spesso nel cervello di uno sportivo, fierezza e rammarico si mescolavano facendo una bella marmellata.
Mi sono affidato a capitan Parisse, che possiamo definire piuttosto bravino con i media in generale, e al nostro responsabile della comunicazione, per capire come trasformare quel miscuglio di emozioni in un messaggio rispettoso, ma che comunque fosse sincero!
Perché senza sincerità e senza un briciolo di creatività che gusto ci sarebbe?
Pensate che noia se tutti gli atleti, di tutti gli sport pubblicassero sempre le stesse cose.
Banali e noiose come un modulo da compilare alla posta!
Per fortuna poi che il nostro staff non ci lascia mai da soli, se no sai che disastri!?
È un bel vantaggio avere qualcuno che ti aiuta a non fare (troppe) cavolate e comunque, se ti sfugge qualcosa...beh se ti sfugge qualcosa ci pensa George, con il dito più veloce del west.
Bisogna anche dire che ci sono alcuni momenti nei quali è più semplice capire cosa sia giusto condividere e cosa no: quando sono in raduno con la Nazionale è chiaro che l’attenzione su determinate tematiche sia alta.
È una responsabilità importante.
Ogni pensiero, magari anche innocuo e gogliardico, può essere travisato e amplificato in maniera esponenziale se inserito in un contesto sbagliato, o se viene letto da di chi non desidera fare altro che criticare tutto e tutti.
E credetemi che esistono quelli così!
In questa foto c'era ben poco da travisare, occhi puntati verso la tribuna e mano sul cuore durante l'inno: rappresenta l'orgoglio per me.
Orgoglio allo stato puro.
26 Novembre, erano appena finiti i Test Match autunnali ed io mi sentivo come un leone che aveva trovato finalmente il suo posticino nel branco, forse per via della mia bella criniera al vento.
Avevo dovuto sgomitare parecchio per arrivare lì e per questo il petto era così gonfio durante l'inno. Avevo lavorato tanto, correndo i miei rischi, anche cambiando ruolo rispetto a quello cui ero abituato e morivo dalla voglia di condividere questa gioia con tutti quanti.
Che poi mica solo la maglia azzurra può riempirti d'orgoglio, anzi!
Io credo che anche il ragazzino che prende in mano la palla ovale per la prima volta, difendendo il club del proprio paese possa avere l'intimo desiderio di raccontarlo a tutti.
E questo comporta delle responsabilità!
Eccome!
Nei confronti dei compagni, degli avversari e del gioco, che va preservato e difeso come un bene prezioso.
Anche io e Edo Padovani non eravamo altro che dei ragazzini in questa foto!
È una delle prime in assoluto e lo si nota anche dalla scarsa risoluzione, i cellulari poco costosi!
Sembra una vita fa!
Con la maglia dell’Accademia, a Mogliano, con le Zebre e con l’Italia, Edo era sempre lì al mio fianco e la galleria del mio telefono è intasata dalle nostre foto insieme.
Che qualcuno potrebbe pure prenderci per amanti!
Quella prima foto pubblicata?
Due sbarbatelli con una chitarra in mano, concentratissimi mentre si esercitano dopo un allenamento, in attesa di diventare le rockstar del futuro.
Ne è passato di tempo da allora e quasi tutto intorno a me è cambiato.
Sono cresciuto fisicamente e professionalmente, ho cambiato club, step dopo step mi sono fatto strada tra le varie selezioni nazionali, fino ad arrivare a giocare con i grandi, con l’Italrugby.
Eppure il mio modo di essere non è mai cambiato di una virgola: sono sempre il solito, un ragazzo che ha fatto del rugby il proprio mestiere e che nel tempo libero continua a coltivare i suoi hobby e a frequentare gli amici di sempre.
Ah, e non sono ancora diventato una rockstar purtroppo.
È vero, devo confessarlo: sono un social addicted.
Non posso farci niente.
Mi piace osservare il Mondo dal palmo della mia mano e quando sblocco il telefono non resisto mai alla tentazione aprire immediatamente Instagram.
Su e giù col ditone, search bar e Instagram stories, adoro lasciarmi travolgere da tutte quelle foto e quei video che, caricati da chissà dove, parlano delle cose che mi piacciono e finiscono per ispirarmi nella vita quotidiana.
Per cui seguo un sacco di pagine!
Molte che parlano di rock e mi perdo per ore a guardare i loro video cercando di replicarli sulla mia nuova traveler fiammante, una stupenda 6 corde che può essere portata sempre appresso.
E quelle che parlano di natura?
Lì divento proprio pazzo: animali, panorami, viaggi.
Mi lascio ispirare continuamente.
Musica, rugby e natura selvaggia.
E si può star certi che se una cosa mi piace davvero allora il mio like sarà il primo ad arrivare.
Questa è la nostra generazione, quella del 3.0 ormai.
Il nostro modo di comunicare è questo colorato e costante flusso di informazioni che teniamo appiccicato alle dita.
Si dicono le cose con i video.
E si parla di una canzone postando una foto.
È una risorsa.
Una risorsa che però non cambia e non cambierà mai le cose davvero importanti, solo ti permette di raccontarle a più persone, e molto più in fretta.
Questa foto l'ho postata dall'Australia.
L'abbiamo scattata durante la vacanza fatta a bordo di un van con alcuni dei miei migliori amici, oltre che compagni di mille battaglie.
Il viaggio più bello della mia vita, passato a surfare e grigliare carne sulla spiaggia insieme ad un gruppo di viaggiatori argentini incontrati sul posto. Era come se il tempo e con lui anche il rugby si fosse completamente fermato regalandoci un momento che fosse solo nostro.
Come le gite con la scuola, pura gioia.
Solo noi 4, amici ed il van.
Amici in viaggio come si faceva dieci, venti o cent'anni fa.
Uno di quei viaggi che si raccontano ai nipotini quando si diventa vecchi.
Solo con qualche strumento in più per immortalare la strada sotto i nostri piedi rispetto a quelli dei nostri nonni.
Perché, l'ha detto anche Lebron James qualche giorno fa, io sono più di un atleta e se vi va di sbirciare la mia vita da una finestrella sapete cosa fare.