Estate torrida a Milano.
Mi sembra di essere la sola rimasta in città di un’età compresa tra i 20 e i 60 anni.
Baldoria!
Notti da lupi nel Bronx.
Questo non si può certo definire come uno dei miei momenti più brillanti dal punto di vista fisico.
Non mi sento di certo al top dopo una stagione lunga e complicata nella quale i miei piccoli acciacchi si sono fatti sentire più del dovuto.
Ne ha risentito soprattutto il mio ginocchio sinistro di tutti i salti effettuati durante la regular season, i playoff e la coppa CEV.
È uno dei prezzi da pagare, un tributo per aver ricevuto in cambio una vita da sportiva.
La decisione più saggia, ma non per questo meno dolorosa, è stata fatta insieme allo staff tecnico e medico della nazionale: un periodo di stop totale dai campi da dedicare interamente al mio fisico.
3 lunghi mesi, interi, senza se e senza ma, per permettere al mio ginocchio una perfetta ripresa.
Come accade nella maggiorparte di questi casi la prima parte del percorso è la più noiosa e si concentra più sul recupero del tono muscolare.
Bisognava dare sollievo a quei dannati e dolorosi edemi ossei che avevo in vari punti dell'articolazione.
Ma chi, come me, è affetto dalla sindrome di Peter Pan vive queste settimane come in gabbia, nell’attesa di poter ritrovare l’attrezzo più dolce: la palla e con lei il mio sorrisone a 28 denti.
28, perché a me il giudizio non è ancora spuntato.
In senso buono, si intende!
Sembra passata un’eternità da quando ero io l’unica mulatta a rappresentare l’Italia nelle selezioni dedicate alle più giovani.
Il mio percorso in azzurro è iniziato nel 2008, avevo pochi anni e tantissime speranze di poter far diventare questo sport il mio lavoro.
All’ultimo check mi sembravava di esserci riuscita, in linea di massima.
Nei miei ricordi di quegli anni le ore di allenamento a cui eravamo sottoposte erano davvero tantissime ma scorrevano così rapidamente!
Tutte noi eravamo veramente instancabili.
Non si conoscevano pause, riposi, affaticamenti: forza dell’incosciente voglia di arrivare della gioventù.
Le ragazzine di oggi rispetto alla me di allora sono molto più fortunate perchè ora si sa come preparare al meglio un fisico acerbo, così particolare e differente dal prototipo standard.
È chiaro che il corpo di una ragazzina che è alta due metri già in tenera età non possa reagire allo stesso modo di quello di una alta un metro e settanta, già sviluppata ed equilibrata nei suoi movimenti e nei gesti atletici.
Il focus che oggi, giustamente, si mette nella diversificazione dei programmi di sviluppo muscolare non è paragonabile a quello dei miei inizi ed è stato questo limite a cronicizzare alcuni di quegli acciacchi di cui parlavo prima.
Adesso invece vedo allenarsi delle ragazzine che pur essendo molto giovani hanno già un fisico performante, pronto, decisamente più maturo di quanto la loro fisicità spingerebbe a credere.
Arrivato l’ok per tornare a giochicchiare un po’ ho deciso di aggregarmi al ritiro della Nazionale pre-juniores, allenata da coach Mencarelli, mio allenatore anche nel club e mio mentore.
La prima cosa che mi è saltata all’occhio entrando nel loro spogliatoio per la prima volta a conti fatti non è poi così rilevante.
Si è vero, hanno tutte un discreto numero di anni meno di me, ma dopo un momento di parziale sbandamento emotivo mi sono resa conto che io sono ancora molto giovane e che lo sarò a lungo, anzi è molto probabile che lo sarò per sempre.
Ciò che davvero ha colpito la mia attenzione è che tante di loro sono molto, molto colorate e la cosa mi ha lasciato un po’ di stucco!
Questa nazionale giovanile è super multietnica.
Questo mi da una gioia incredibile perchè significa che finalmente anche in Italia abbiamo capito che il misto di culture può e deve essere considerato come una via di crescita, non soltanto per la società in generale ma anche per vari i movimenti sportivi e le federazioni che oltre a promuovere la piena e consapevole integrazione vedono anche degli ottimi frutti sul campo.
Queste piccoline con cui mi sono allenata hanno già vinto due competizioni su due!
Al tempo del mio inizio essere stata la prima o comunque una delle prime non è sempre stato facile e ha implicato avere un certo bagaglio extra con cui avere a che fare ogni tanto.
Anzi, spesso.
Sotto i riflettori io sono semplicemente me stessa, tale e quale a quando le luci sono spente.
Non indosso maschere perché si sprecano troppe energie ad essere qualcun'altro.
La cosa più difficile di qualunque bugia è che poi bisogna ricordarsela precisa precisa.
L’onestà è notevolmente più economica!
Non ho davvero mai sentito il peso del mio ruolo e delle aspettative che gli altri riponevano in me, ho fatto di quel bagaglio extra che la mia diversità mi ha regalato un motivo di ricerca e di riflessione con il mondo.
Io mi godo il mio essere giovane in ogni istante, credo che la responsabilità di essere un esempio per le altre sia solo un valore aggiunto: perché mai provare a scrollarsela?
Ad essere onesta mi da una grande carica sapere di poter essere un modello per le più giovani: se lei ci è riuscita posso farlo anche io.
Certo che puoi!
Questa consapevolezza di voler essere (e di dover essere) un riferimento costante mi ha dato nel corso delle stagioni quel briciolo di energia in più che non mi ha mai fatto mollare anche quando non ne avevo proprio più.
Nella mia adolescenza sono stata una ragazza molto timida ed introversa; è anche grazie allo sport se sono riuscita ad aprirmi e diventare la donna che sono oggi.
La mia famiglia è sempre stata controcorrente.
E questo è stato (ed è tuttora) a tutti gli effetti un grande valore aggiunto.
Ognuno a modo proprio si è sempre distinto in famiglia e io ho appreso già da piccolissima di poter disegnare il cammino sotto i miei piedi in libertà, colorando e sporcando la tela a piacimento.
Mia mamma è l'artista della casa: grafica pubblicitaria e hippy di quelle vere con i pantaloni a zampa e la coroncina in testa.
Mio papà un genio, nerd fino al midollo, mai stanco e sempre alla ricerca di qualcosa di più grande da progettare ed inseguire.
È un ingegnere informatico e web designer, parla 6 lingue e vive a New York.
Influenze così uniche hanno creato in me degli schemi mentali fuori dal coro e forgiato il mio carattere con la forza della gentilezza.
Durante l'adolescenza è un desiderio naturale quello cercare di omologarsi agli altri, una voglia di normalità che, prima o poi, proviamo tutti.
Solo il tempo ci insegna che il più grande dono che abbiamo, da proteggere sempre, è la nostra unicità: è fichissimo essere diversi.
Uno dei miei mantra è sempre stato vivi la vita con leggerezza, vivere nella costante ricerca della serenità e di quei momenti di condivisione con gli altri che la quotidianità ci offre.
Grazie alla vita di comunità che lo sport di squadra ti impone impari il rispetto verso le tue colleghe ma soprattutto vieni a contatto con l’incredibile forza della cooperazione.
È incredibile la sinergia che si crea in un gruppo di persone diverse tra loro che sono in grado di mettere nel mirino un obiettivo comune.
Dalle differenze si impara molto di più che dai tratti in comune.
Ovviamente questo processo non è stato per niente facile neppure per me, quindi capisco perfettamente le ragazzine che tendono a chiudersi a riccio in un atteggiamento protettivo.
La voglia di arrivare e di affermarsi sicuramente spinge a lavorare molto sulla cooperazione perché nel volley tutto dipende totalmente dalle tue compagne.
Senza di loro, in sostanza, non vinci.
Nello sport molto spesso ci si riempie la bocca parlando della continuità da dare ad un gruppo di lavoro, professionista o no che sia, per incentivare la conoscenza reciproca, l’empatia interna e quindi il processo di crescita.
Ma credo anche che conoscere le proprie compagne non significhi soltanto averne capito i punti di forza per poterli sfruttare in campo, ma soprattutto aver imparato ad accettarne con il sorriso le debolezze ed i limiti, così loro faranno altrettanto con te.
Anche nella vita conoscere qualcuno significa riuscire ad aiutarlo ad esprimere sé stesso liberamente in ogni situazione o, più semplicemente, aver capito come stargli vicino nei momenti di down.
Da piccola pensavo che nessuno capisse cosa significava essere così diversa in un'età poi, quella dello sviluppo, in cui le differenze ci sembrano pesare molto di più.
Ma chiudersi impedisce di vedere che magari intorno a noi si possono trovare delle persone che subiscono la propria diversità a modo loro, proprio come noi: c’è chi si sente il naso troppo grosso o i capelli strani, le gambe storte o si vergogna di un difetto di pronuncia.
Il mio consiglio è quello di lanciarsi perchè nella vita si va per tentativi e non viene mica rilasciata una patente per diventare grandi!
Si cade e ci si rialza imparando a non cadere più nella stessa maniera ma trovandone magari uno più fantasioso e scenografico, perché non sempre cadere è un male.
Anzi.