Vanni Oddera

Vanni Oddera

9 MIN

Per scoprire la mia via però doveva passare ancora un po’ di tempo.

Ero lanciato, sì.

Ma non era un salto di due secondi, in cui senza pensare e seguendo solo l’istinto devi produrre la tua figura e riagguantare subito il manubrio pronto all’atterraggio.

Tutt’altro.

Vanni Oddera

© Dario Bologna

Sentivo nello stomaco il verme che mi attraversava e non sapevo cosa fare. Intanto mi allenavo. Ero qui a Pontinvrea e mentre facevo tutto quel che ormai mi ero abituato a fare come routine del mio lavoro, un giorno mi venne in mente Chicco.

Era un omone enorme che spesso veniva a bere al Beer Room.

Due metri. Stazza possente. Del tutto rasato.

Uno che se lo incontri da solo di notte ti prende la caga.

Poi lo conosci e scopri che è la persona più dolce e buona del mondo.

E infatti io sapevo che lavorava in una casa per disabili a Acqui Terme. Sapevo quel che faceva. Me lo aveva raccontato lui in qualcuna delle lunghe sere al pub.

Vanni Oddera

© Dario Bologna

Lo chiamai. Sentivo di poter fare qualcosa per i suoi ragazzi.

Qualcosa di semplicissimo. Io mi allenavo, saltavo, rombavo, facevo robe spettacolari da solo.

Perché non condividerle e offrire una giornata diversa ai suoi ragazzi?

Mi sarei sentito meglio. Avrei dato un senso ai miei pensieri.

E vedete? Ecco quel che dicevo prima.

Avevo cose di cui traboccavo, tracimavo. Potevo semplicemente riversarle sugli altri.

Cosa mi costava? Nulla.

Era roba che sarebbe andata persa, altrimenti.

E invece potevo farla fluire verso qualcuno che se ne sarebbe volentieri abbeverato e se ne sarebbe arricchito.

Un meccanismo di una semplicità disarmante.

Chicco non ci pensò due volte. Avrebbe portato i ragazzi ad assistere a uno show privato tutto per loro.

E fu così che tutto ebbe inizio.

Mi ricordo quella giornata come un sogno.

Avevamo preparato ogni cosa alla perfezione. Mia madre si era data da fare con la sua famosa generosità. Aveva cucinato tutto il giorno prima e c’era cibo in abbondanza, ma non panini da festicciola di bambini, eh!

Mio fratello aveva preparato la musica.

Io tutto il resto. La nostra famiglia è unita in questo genere di cose.

Vanni Oddera

Bene, Chicco arrivò portando con sé una decina di ragazzi. Pochi, direte voi.

Ma non avete idea di come si siano decuplicati negli anni, di quanti zeri si debbano aggiungere a quella cifra.

E bisogna partire da lì perché tutto cominciò definitivamente lì.

Infatti, io mi misi prima a fare il buffone per rompere il ghiaccio, poi mostrai la moto e tutto quel che serviva per saltare, infine cominciai con lo spettacolino serio: salti e tutto quel che serve a impressionare la folla.

Solo che la folla non era una folla, ma una piccola platea di ragazzi affamati di vita.

La loro felicità fu immensa.

Sembravano trasformati, dopo che il mio «allenamento» finì e tornai tra loro.

Vanni Oddera

© Dario Bologna

Mangiavamo, la musica martellava, Chicco andava da una parte all’altra cercando di tener dietro a tutti quanti e io continuavo a fare il buffoncello ma un po’ meno perché adesso rispondevo alle loro domande e ero molto più coinvolto e mi pareva di poter interagire davvero con tutti loro.

Finché un ragazzo venne da me e mi fece la domanda più importante. Mi dispiace

non sapere come si chiamasse.

Perché fu lui a rivoluzionare tutto e a darmi l’idea decisiva.

«Mi fai provare?» disse a modo suo, nella sua lingua.

Mi fai provare.

Mi fai provare.

Per qualche secondo la frase mi martellò in testa eppoi saltai su e non ci pensai due volte.

Lo presi in braccio.

Accesi la moto e con lui fra me e il manubrio feci un giro dei campi.

Vanni Oddera

© Lorenzo Refrigeri

Non mi misi a saltare, ovvio, quello era improponibile, però lo portai su e giù per le piste, le collinette, i saliscendi. Lui urlava, rideva, piangeva. Era impazzito.

Quando ci fermammo aveva il volto trasfigurato e rideva e si scompisciava e saltava e diceva che era la cosa più bella della sua vita.

Allora anche gli altri vollero provare.

Chicco non fece una piega, chiese loro soltanto di mettersi bene in fila e di aspettare con pazienza il loro turno. Io, lo capirete, non avrei potuto prevedere una cosa più bella.

Li presi in braccio uno per uno, con i loro problemi, le loro disabilità, ciascuno con il suo dramma.

Li strinsi forte a me e, percependo la loro ferita, li tenni bene fra le braccia per portarli in giro e dar loro quella felicità, quella botta adrenalinica che gettò tutti nello scompiglio.

Sembrano cazzate?

Veniteci voi a fare un giro in moto.

Vedrete cosa capita.

Se io parlo della moto tassellata come di una bestia selvaggia da domare voi pensate che io sia un cazzaro invasato e che io stia cercando metafore poetiche per raccontare un’esperienza del tutto normale.

Poi fate un giro e mi dite com’è andata.

Vanni Oddera

© Lorenzo Refrigeri

E vi avverto: fate anche soltanto un giro da ospiti, come i ragazzini in braccio a me, sul sellino davanti a me.

Vedrete che l’esperienza che da fuori sembra un semplicissimo giro in moto diventa altro.

Ma qui entriamo in dimensioni indefinibili. Preferisco raccontarvi l’eccitazione di quei ragazzini.

Lo stato di delirio in cui tutti entrammo, contagiati dall’entusiasmo, l’ebbrezza, il sogno che riempiva la valle. Non ci si capiva più nulla.

Io e Chicco ci guardavamo sconcertati. Avevamo programmato una gita, una cosa carina, un modo per dare un senso ai nostri mestieri, una prova per capire cosa si poteva fare.

Ma mai ci saremmo immaginati di poter vivere qualcosa del genere.

Tutto si era trasformato.

I ragazzini, noi, la valle, la musica, il cibo.

Tutto era ricoperto di un nuovo colore. Tirammo avanti come automi fino a fine giornata e ci salutammo.

Vanni Oddera

© Dario Bologna

Forse pensavamo che si fosse trattato di un sogno o di una specie di sospensione della realtà. Così ce ne andammo tutti a dormire e fino al giorno dopo fu buio.

Ma il giorno dopo arrivò. Io continuai a pensare a quel che era capitato ma evitai di telefonare a Chicco.

Volevo lasciare che il tempo passasse. Volevo che le cose si raffreddassero.

Raffreddarsi? Ah, ma era impossibile.

Quando Chicco mi chiamò giorni dopo, aveva la voce rotta. Diceva che anche lui aveva voluto vedere se era stata solo una roba del momento. E invece i ragazzini lo avevano convinto di no.

Non avevano mai smesso di ripetergli che quella era stata la giornata più bella della loro vita e che volevano tornare al più presto.

Volevano rifarlo.

Volevano soprattutto tornare in moto.

Tornare a sentirsi liberi.

Liberi.

Liberi da tutto. Dai loro problemi, dagli ostacoli che impedivano loro di vivere normalmente, da tutti quegli impedimenti con cui erano cresciuti.

Liberi di sognare e di non pensare più al loro dramma.

Soprattutto questo: liberi di prendersi il tempo per volare.

Volare.

Saltare.

Volare.

Essere liberi.

Vanni Oddera

© Dario Bologna

Tutto quel che ho cercato di raccontarvi finora non è letteratura.

Non è poesia.

Non è propaganda.

Non c’è qui quel cazzone di Vanni Oddera che racconta cose come se fossero sogni e invece no, è tutta fuffa.

Chiedetelo ai ragazzi che vennero quel giorno e a tutti quelli che sarebbero venuti di lì in avanti.

Chiedetelo ai loro genitori. Chiedetelo a voi stessi se avrete voglia di provare, di venire, di osservare, di partecipare e empatizzare.

Chiedetevelo.

Era cominciata una grande cosa, quel giorno. L’epoca che mi ha trasformato e mi ha fatto crescere.

Sono diventato finalmente un uomo in quella magnifica giornata. Ho trovato il senso del grande salto in cui mi ero lanciato verso e attraverso l’umanità.

Era cominciata per sempre l’epoca della mototerapia.

Vanni Oddera / Contributor

Vanni Oddera
In esclusiva per noi, anteprima da : "il grande salto"
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