Vincenzo Nibali

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È veramente difficile mettere i ricordi in ordine preciso per cercare il primissimo tra tutti. Quello che mi viene più a genio, però, è la mia prima biciclettina da corsa.

In mezzo alle memorie d’infanzia che ho, la sensazione di quando ho ricevuto quella è la cosa che mi torna in mente con maggiore forza.

Forse me la ricordo in maniera così precisa perché la desideravo moltissimo.

La volevo davvero a tutti i costi.

Le due ruote erano parte della mia vita già da tanto, praticamente da subito, ma il rapporto con la bici da corsa è qualcosa di assolutamente diverso.

Mio papà era un semplice amante del ciclismo e si era appassionato alla disciplina solamente in tarda età. Quasi tutte le passioni che scoppiano tardi rispetto alla media diventano anche più forti rispetto alla media.

Lo fanno perché sono frutto di una scelta adulta, che diventa coinvolgente.

Una passione che ti vien voglia di condividere con chi ti sta vicino.

In quegli anni le gare degli amatori erano diverse da come sono oggi.

C’era l’agonismo, ovviamente.

Perché quello c’è sempre.

Ma era un agonismo dolce, quasi romantico, che finiva con il riunire tutti i partecipanti assieme, appena passato il traguardo. Alle gare si andava con la famiglia al completo, spesso si mangiava direttamente alla corsa e tutto prendeva una dimensione semplice, quasi casereccia, che ci faceva sentire parte di qualcosa.

Ed è anche grazie a questa sensazione che sia io che mio fratello abbiamo iniziato ad innamorarci delle due ruote.

Famiglia Nibali

© Famiglia Nibali

Ero abituato a stare in sella quante più ore possibile.

Avevo la mountain bike e la bmx.

Avevo provato molte altre biciclette.

Ma quella da corsa no, ancora no, ed era la cosa che desideravo di più.

Il rischio dei desideri è che poi, a volte, si avverano e la realtà spesso ha un sapore più intenso rispetto a quello della fantasia. E ci vuole un po’ ad abituarsi.

Quando l’ho ricevuta mi sono scoperto un po’ intimorito, almeno all’inizio. Avevo un po’ di paura a salirci sopra, ero preoccupato all’idea di pedalarci.

Perché la prima bici da corsa è un mondo completamente nuovo.

È leggera e aerodinamica.

Ha le ruote sottili e il telaio rigido.

La bici da corsa è più sensibile, rispetto alle altre.

Più sensibile a tutto.

All’asfalto, alla forza delle gambe, alla velocità.

Ai nervi di chi la porta.

Aveva il cambio sul telaio, ed era la prima volta che ne usavo di quel tipo.

Era emozionante e mi chiedevo se sarei stato capace di farla correre veloce quanto avrei voluto.

Pare di sì.

Famiglia Nibali 2

© Famiglia Nibali

Andar via da casa giovane non è stato affatto semplice. Avevo appena 16 anni, e in più la Sicilia è una terra generosa, difficile da lasciarsi alle spalle.

Ma io avevo proprio voglia di farlo.

Può sembrare brutto dirlo così. Diretto.

Io a casa ero felice, molto felice, ma avevo la voglia di vedere quello che c'era fuori e volevo farlo in sella mia bici.

 

Sapevo che tutti i miei coetanei più promettenti correvano lontano, soprattutto al nord e la Toscana in quel periodo era la vera culla del ciclismo italiano.

Quasi un passaggio obbligato per provare a diventare un professionista.

Era qualcosa che desideravo, qualcosa che volevo fortemente.

Qualcosa che in qualche maniera sono riuscito a prendermi.

Grazie non solo alla tenacia e all’impegno della mia famiglia ma anche alla lungimiranza dei direttori sportivi. Sia quelli dei primi anni Sicilia, che quelli che ho trovato in Toscana.

I primi, che per me erano stati più che semplici direttori sportivi, ma anche massaggiatori, accompagnatori e autisti, hanno capito il mio desiderio di mettermi alla prova fuori. E i secondi, invece, sono stati capaci di accogliermi al meglio e di farmi sentire quasi come se fossi ancora a casa.

 

Quelli sono anni cruciali, perché il passaggio da under al mondo dei professionisti può essere complesso, e non è immediato come accade in altre discipline. Io sono riuscito a trovare me stesso e ad esprimere tutto il mio potenziale, non senza passare attraverso dei momenti duri.

 

C’è una regola speciale, che vale sempre e che non bisogna mai dimenticarsi: ad una gara la prima volta vai per imparare.

La seconda, anche.

La terza, anche.

Dalla quarta vai per vincere.

 

Il primo anno ho avuto qualche difficoltà ad ambientarmi alla perfezione, poi, dal secondo in avanti, mi sono integrato al meglio e tutto ha cominciato a girare.

Soprattutto le gambe hanno iniziato a girare.

Ho portato a casa 12 vittorie durante la stagione. E le vittorie, nello sport, hanno un valore enorme. Hanno un impatto sulla testa e sul fisico, oltre che sulle convinzioni. Ti rendono capace di spingere più forte, di sopportare di più, di iniziare a credere nei mezzi che hai. Mi sono detto:

Se ho vinto così tanto qualcosa di buono, in me, forse c’è!

Famiglia Nibali 2

C’è una cosa nel ciclismo che non cambia mai.

Anche se arrivi in alto, anche se raggiungi la vetta:

La fatica è una lotta per ogni giorno.

Non puoi farne a meno, e prescinde sempre dal tuo momento personale.

O dal tuo stato di forma.

Tutta la fatica fatta poi ti torna in mente nei momenti più duri, e ti rigenera.

 

Nella fatica c’è la sofferenza e nella sofferenza ci sei tu, e soltanto tu.

Con i tuoi pensieri.

Con i tuoi avversari.

Con i tuoi obiettivi.

 

Lotto con la fatica sempre.

Lo faccio quando non sono in condizione perfetta, perché voglio ritrovare le mie sensazioni migliori. Voglio ritrovare la mia gamba.

Nessuno è più esigente di me e, quando non mi riescono al meglio le cose che vorrei, il solo modo per riprenderle è abbracciando la fatica massima.

 

Ma lotto con la fatica anche quando sono in condizione, perché quello è il momento in cui ti accorgi che anche gli altri sono in forma e a vincere, alla fine, sarà soltanto uno tra noi. Probabilmente quello che resiste meglio alla sofferenza.

 

A volte, infine, capita di trovarsi all'apice della condizione e in quel momento lì, per un attimo, non pensi più a nulla. Le gambe vanno e basta. Ma nel momento esatto in cui smetti di ricercare la fatica quotidiana perdi il privilegio di essere al vertice.

E devi ricominciare da capo.

 

Il ciclismo è una sfida costante, con se stessi prima che agli altri.

La squadra ci mette la scienza, mentre io mi affido al cuore, tutte le volte che salgo in sella, perché la fatica è una lotta per ogni giorno.

Vincenzo Nibali / Contributor

Vincenzo Nibali